«Vittimizzazione secondaria»
di una vittima di violenza sessuale a causa
delle affermazioni colpevolizzanti, moralizzatrici e veicolanti di stereotipi sessisti nelle motivazioni
della sentenza
Nel caso di specie:
la ricorrente lamenta che un procedimento penale condotto a seguito di una denuncia per violenza sessuale di gruppo da lei presentata non ha rispettato l’obbligo positivo che, a suo parere, incombeva alle autorità nazionali di proteggerla in maniera effettiva dalle violenze sessuali che afferma di avere subìto e di garantire la protezione del suo diritto alla vita privata e della sua integrità personale. La ricorrente ritiene che ciò costituisca una violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione.
IL QUADRO E LA PRASSI GIURIDICI PERTINENTI
I. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
A. Il codice penale
L’articolo 609bis del codice penale italiano riguarda il delitto di violenza sessuale, ed è così formulato:
«1. Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
2. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
3. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.»
Ai sensi dell’articolo 609ter:
«La pena è della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all’articolo 609bis sono commessi:
(…)
2) con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa. (…)»
Ai sensi dell’articolo 609octies del codice penale, la violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, agli atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609bis. Questo reato è punito con la pena della reclusione da sei a dodici anni.
B. Il codice di procedura penale
L’articolo 392 del codice di procedura penale (di seguito il «CPP») prevede che, nei procedimenti relativi, tra l’altro, ai reati puniti dagli articoli 609bis e 609octies, il pubblico ministero – eventualmente su richiesta della parte lesa – o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che la testimonianza di una persona minorenne o quella della persona offesa maggiorenne siano assunte dal giudice delle indagini preliminari nell’ambito di un incidente probatorio.
Il decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015, che recepisce le disposizioni della Direttiva 2012/29/UE che stabilisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, ha modificato l’articolo 392 del CPP aggiungendo il seguente comma:
«In ogni caso, quando la persona offesa versa in condizione di particolare vulnerabilità, il pubblico
ministero, anche su richiesta della stessa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della sua testimonianza.»
Ai sensi dell’articolo 472, comma 3bis, del CPP, i dibattimenti relativi ai delitti di carattere sessuale sono pubblici, salvo se la parte offesa chieda che si proceda a porte chiuse o è minorenne. In questo tipo di procedimenti, le domande sulla vita privata e sessuale della vittima non sono ammesse se non sono necessarie alla ricostruzione dei fatti.
C. La possibilità per la parte civile di impugnare una decisione di assoluzione
Ai sensi dell’articolo 572 del CPP,
«La parte civile, la persona offesa (…) possono presentare richiesta motivata al pubblico ministero
di proporre impugnazione a ogni effetto penale.
Il pubblico ministero, quando non propone impugnazione, provvede con decreto motivato da notificare al richiedente.»
Ai sensi dell’articolo 576 del CPP,
«La parte civile può proporre impugnazione contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio (…)»
D. Il quadro legislativo nazionale in materia di violenza nei confronti delle donne
La legge n. 119 del 15 ottobre 2013, detta legge sul femminicidio o piano d’azione straordinario per il contrasto della violenza sulle donne, prevede misure incentrate sui diritti procedurali delle vittime di violenza domestica, abusi sessuali, sfruttamento sessuale e molestie. In virtù delle nuove disposizioni, il procuratore e le forze di polizia hanno l’obbligo legale di informare le vittime che è data loro la facoltà di farsi rappresentare da un avvocato nell’ambito del procedimento penale e di chiedere, tramite i loro avvocati, un’udienza protetta. Essi devono anche informare le vittime della possibilità loro offerta di beneficiare di un’assistenza giuridica e delle modalità di concessione di questo tipo di assistenza. Inoltre, la legge prevede che le indagini relative ai presunti reati debbano essere condotte entro un anno dalla data della segnalazione alla polizia e che i permessi di soggiorno degli stranieri vittime di violenze, compresi i migranti senza documenti di identificazione, devono essere prorogati. La legge prevede anche la raccolta strutturata di dati sull’argomento e il loro aggiornamento regolare, in particolare attraverso il coordinamento delle banche dati già esistenti.
La legge n. 69 del 19 luglio 2019, detta «codice rosso», ha introdotto nuovi reati – come il matrimonio forzato, la deformazione della vittima mediante lesioni permanenti al volto e la diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti – ed ha aggravato le sanzioni per i
reati di molestie, violenza sessuale e violenza domestica. Inoltre, i procedimenti che riguardano tutti questi reati sono trattati con priorità.
E. Il Codice etico dei magistrati
Il Codice etico dei magistrati è stato modificato nel 2010. L’articolo 12, terzo comma, del nuovo codice, è così formulato:
«Nelle motivazioni dei provvedimenti e nella conduzione dell’udienza [il giudice] esamina i fatti e gli argomenti prospettati dalle parti, evita di pronunciarsi su fatti o persone estranei all’oggetto della causa, di emettere giudizi o valutazioni sulla capacità professionale di altri magistrati o dei difensori, ovvero – quando non siano indispensabili ai fini della decisione – sui soggetti coinvolti nel processo.»
II. IL DIRITTO INTERNAZIONALE PERTINENTE
A. Le Nazioni Unite
La Dichiarazione dei principi fondamentali di giustizia relativi alle vittime della criminalità e alle vittime di abusi di potere, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nella sua risoluzione 40/34 del 29 novembre 1985, stabilisce che le vittime devono essere trattate con compassione e nel rispetto della loro dignità (allegato, articolo 4) e che occorre migliorare la capacità del sistema giudiziario e amministrativo di rispondere alle esigenze delle vittime, in particolare adottando misure per ridurre al minimo le difficoltà che incontrano, proteggere, se necessario, la loro vita privata e garantire la sicurezza loro, nonché quella della loro famiglia e dei loro testimoni, preservandoli da intimidazioni e ritorsioni (allegato, articolo 6 d)).
Nelle sue osservazioni finali al settimo rapporto sull’Italia, pubblicato il 4 luglio 2017 (CEDAW/C/ITA/7), il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione nei
confronti delle donne ha dichiarato tra l’altro quanto segue:
«Stereotipi
Il Comitato prende atto dell’azione condotta dallo Stato parte per lottare contro gli stereotipi sessisti discriminatori attraverso la promozione della condivisione delle responsabilità domestiche e genitoriali, e per combattere le rappresentazioni stereotipate delle donne nei media attraverso il rafforzamento dell’istituto di autoregolamentazione della pubblicità. Tuttavia, constata con preoccupazione:
a) Il radicamento di stereotipi riguardanti i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia e nella società, che perpetuano i ruoli tradizionali delle donne come madri e casalinghe e che compromettono il loro status sociale nonché le loro prospettive di studio e di carriera;
(…)
Violenza di genere contro le donne
Il Comitato accoglie con favore le misure adottate per lottare contro la violenza di genere nei confronti delle donne, in particolare l’adozione e l’attuazione della legge n. 119/2013 recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere e la creazione di un osservatorio nazionale sulla violenza e di una banca dati nazionale sulla violenza di genere.
Resta tuttavia preoccupato per:
a) La forte prevalenza della violenza di genere contro le donne e le ragazze nello Stato parte;
b) La scarsa segnalazione della violenza di genere contro le donne e il basso tasso di azioni penali e di condanne, che comportano l’impunità degli autori;
c) L’accesso limitato ai tribunali civili per le donne che sono vittime di violenza domestica e che chiedono un ordine di allontanamento;
d) Il fatto che, sebbene queste procedure non siano obbligatorie, i tribunali continuano ad orientare le vittime verso modalità alternative di risoluzione delle controversie, quali la mediazione o la conciliazione, nei casi di violenza di genere nei confronti delle donne, nonché l’uso emergente di meccanismi di giustizia riparatoria per i casi meno gravi di molestie la cui portata potrebbe essere estesa ad altre forme di violenza di genere nei confronti delle donne;
e) L’impatto cumulativo e la sovrapposizione tra atti razzisti, xenofobi e sessisti nei confronti delle
donne;
f) La mancanza di studi sulle cause strutturali della violenza di genere nei confronti delle donne e la mancanza di misure volte all’emancipazione femminile;
g) Le disparità regionali e locali nella disponibilità e nella qualità dei servizi di assistenza e di protezione, compresi i rifugi per le donne vittime di violenza, così come le forme incrociate di discriminazione nei confronti delle donne che appartengono a gruppi minoritari che sono vittime di violenza.
Rammentando le disposizioni della Convenzione e le sue raccomandazioni generali n. 19 (1992) sulla violenza nei confronti delle donne e n. 35 (2017) sulla violenza di genere nei confronti delle donne, che aggiornano la raccomandazione generale n. 19, il Comitato raccomanda allo Stato parte:
a) Di accelerare l’adozione di una legislazione completa volta a prevenire, contrastare e sanzionare
tutte le forme di violenza nei confronti delle donne, nonché del nuovo piano d’azione contro la violenza di genere, e di assicurare che delle risorse umane, tecniche e finanziarie adeguate siano destinate alla loro attuazione sistematica ed efficace;
b) Di valutare la risposta della polizia e del sistema giudiziario alle denunce per reati a sfondo sessuale e instaurare un rafforzamento delle capacità obbligatorio per i giudici, procuratori,
funzionari di polizia e altri responsabili dell’applicazione delle leggi sulla rigorosa applicazione delle disposizioni della legge penale relative alla violenza di genere nei confronti delle donne e sulle procedure di audizione delle donne vittime di violenza tenendo conto della problematica uomodonna;
c) Di incoraggiare le donne a denunciare i fatti di violenza domestica e sessuale agli organi di applicazione della legge, destigmatizzando le vittime, sensibilizzando la polizia e i magistrati e facendo prendere coscienza della natura criminale di tali atti; e di garantire alle donne un accesso effettivo ai tribunali civili al fine di ottenere ordini di allontanamento dei partner violenti;
d) Di assicurare che le modalità alternative di risoluzione delle controversie, quali la mediazione, la conciliazione e la giustizia riparatoria, non siano utilizzati dai tribunali per i casi di violenza di genere al fine di evitare che le stesse costituiscano un ostacolo all’accesso delle donne alla giustizia
formale, e di armonizzare tutta la legislazione nazionale pertinente con la Convenzione di Istanbul;
e) Di assicurare che gli atti razzisti, xenofobi e sessisti nei confronti delle donne siano oggetto di indagini minuziose, affinché gli autori siano perseguiti e le pene pronunciate siano proporzionate alla gravità dei fatti;
f) Di rafforzare la protezione e l’assistenza date alle donne che sono vittime di violenza, in particolare rafforzando la capacità di accoglienza dei rifugi ed assicurando che questi ultimi soddisfino le esigenze delle vittime e coprano l’intero territorio dello Stato parte, stanziando risorse umane, tecniche e finanziarie adeguate ed accrescendo la cooperazione dello Stato con le organizzazioni non governative che offrono rifugio e riabilitazione alle vittime;
g) Di raccogliere dati statistici sulla violenza domestica e sessuale, suddivisi per sesso, età, nazionalità e relazione tra la vittima e l’autore del reato.»
B. Il Consiglio d’Europa
Il 7 aprile 2011 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha adottato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul). Questa Convenzione è stata ratificata dall’Italia il 10 settembre 2013 ed
è entrata in vigore il 1° agosto 2014.
La suddetta Convenzione contiene in particolare le seguenti disposizioni:
Articolo 3 – Definizioni
«Ai fini della presente Convenzione:
a) con l’espressione «violenza nei confronti delle donne» si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;»
Articolo 15 – Formazione delle figure professionali
«1. Le Parti forniscono o rafforzano un’adeguata formazione delle figure professionali che si occupano delle vittime o degli autori di tutti gli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione in materia di prevenzione e individuazione di tale violenza, uguaglianza tra le donne e gli uomini, bisogni e diritti delle vittime, e su come prevenire la vittimizzazione secondaria.
(…)»
Articolo 36 – Violenza sessuale compreso lo stupro
« 1. Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penalmente i responsabili dei seguenti comportamenti intenzionali:
a) atto sessuale non consensuale con penetrazione vaginale, anale o orale compiuto su un’altra persona con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto;
b) altri atti sessuali compiuti su una persona senza il suo consenso;
c) il fatto di costringere un’altra persona a compiere atti sessuali non consensuali con un terzo.
2. Il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto.
3. Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo per garantire che le disposizioni del paragrafo 1 si applichino anche agli atti commessi contro l’ex o l’attuale coniuge o partner, quale riconosciuto dalla legislazione nazionale.»
Articolo 54 – Indagini e prove
«Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che in qualsiasi procedimento civile o penale, le prove relative agli antecedenti sessuali e alla condotta della vittima siano ammissibili unicamente quando sono pertinenti e necessarie.»
Articolo 56 – Misure di protezione
«1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo destinate a proteggere i diritti e gli interessi delle vittime, compresi i loro particolari bisogni in quanto testimoni in tutte le fasi delle indagini e dei procedimenti giudiziari, in particolare:
a) garantendo che siano protette, insieme alle loro famiglie e ai testimoni, dal rischio di intimidazioni, rappresaglie e ulteriori vittimizzazioni;
b) garantendo che le vittime siano informate, almeno nei casi in cui esse stesse e la loro famiglia potrebbero essere in pericolo, quando l’autore del reato dovesse evadere o essere rimesso in libertà in via temporanea o definitiva;
c) informandole, nelle condizioni previste dal diritto interno, dei loro diritti e dei servizi a loro disposizione e dell’esito della loro denuncia, dei capi di accusa, dell’andamento generale delle indagini o del procedimento, nonché del loro ruolo nell’ambito del procedimento e dell’esito del giudizio;
d) offrendo alle vittime, in conformità con le procedure del loro diritto nazionale, la possibilità di essere ascoltate, di fornire elementi di prova e presentare le loro opinioni, esigenze e preoccupazioni, direttamente o tramite un intermediario, e garantendo che i loro pareri siano esaminati e presi in considerazione;
e) fornendo alle vittime un’adeguata assistenza, in modo che i loro diritti e interessi siano adeguatamente rappresentati e presi in considerazione;
f) garantendo che possano essere adottate delle misure per proteggere la vita privata e l’immagine della vittima;
g) assicurando, ove possibile, che siano evitati i contatti tra le vittime e gli autori dei reati all’interno dei tribunali e degli uffici delle forze dell’ordine;
h) fornendo alle vittime, quando sono parti del processo o forniscono delle prove, i servizi di interpreti indipendenti e competenti;
i) consentendo alle vittime di testimoniare in aula, secondo le norme previste dal diritto interno, senza essere fisicamente presenti, o almeno senza la presenza del presunto autore del reato, grazie in particolare al ricorso a tecnologie di comunicazione adeguate, se sono disponibili.»
Il 13 gennaio 2020, il Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del Consiglio d’Europa («GREVIO») ha pubblicato il suo primo rapporto di valutazione relativo all’Italia, che contiene il seguente passaggio:
«Pur riconoscendo i progressi compiuti nella promozione dell’uguaglianza di genere e dei diritti delle donne, il rapporto constata che la causa dell’uguaglianza di genere sta incontrando resistenza in Italia. Il GREVIO esprime la sua preoccupazione per i segni emergenti di una tendenza a reinterpretare e a riorientare le politiche di parità di genere in termini di politiche della famiglia e della maternità. Per superare queste difficoltà, il GREVIO ritiene essenziale che le autorità continuino a concepire e ad attuare efficacemente delle politiche di parità tra donne e uomini e di emancipazione delle donne, che riconoscano chiaramente la natura strutturale della violenza contro le donne come una manifestazione delle relazioni di potere storicamente ineguali tra donne e uomini.»
Basandosi sui dati forniti dall’Istituto nazionale di statistica («ISTAT»), il suddetto rapporto rileva, tra l’altro, che i tassi di segnalazione e di condanna per violenza sessuale sono relativamente bassi e in diminuzione: mentre il numero di reati di violenza sessuale segnalati è passato da 4.617 nel 2011 a 4.046 nel 2016 (con un tasso di incidenza del modello donne vittime e uomini autori di oltre il 90 %), il numero di autori condannati è sceso da 1.703 a 1.419 nello stesso periodo. La parte pertinente del rapporto recita:
«225. [Il] GREVIO incoraggia vivamente le autorità italiane:
a) a proseguire i loro sforzi per assicurare che le indagini e i procedimenti penali relativi alle cause
di violenza di genere siano condotti rapidamente, assicurando al tempo stesso che le misure adottate a tal fine siano sostenute da un finanziamento adeguato;
b) a far valere la responsabilità degli autori e garantire la giustizia penale per tutte le forme di violenza contemplate dalla convenzione;
c) ad assicurare che le pene inflitte nei casi di violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, siano proporzionate alla gravità del reato e preservino il carattere dissuasivo delle sanzioni.
I progressi in questo ambito dovrebbero essere misurati mediante dati adeguati e supportati da analisi pertinenti del trattamento delle cause penali da parte dei servizi repressivi, delle procure e dei tribunali per accertare dove si verifica l’attrito e per individuare eventuali lacune nella risposta istituzionale alla violenza nei confronti delle donne.»
Il parere n. 11 (2008) del Consiglio consultivo dei giudici europei (CCGE) relativo alla qualità delle decisioni giudiziarie, contiene il seguente passaggio:
«38. (…) La motivazione (di una decisione giudiziaria) deve essere priva di qualsiasi apprezzamento offensivo o poco lusinghiero della persona sottoposta a giustizia.»
C. L’Unione europea
Adottata il 25 ottobre 2012, la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio doveva essere recepita nel diritto italiano entro il 16 novembre 2015. Tale direttiva è stata recepita nel diritto italiano con il decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015. Le parti pertinenti della direttiva sono così formulate:
Considerando 17
« Per violenza di genere s’intende la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico, o una perdita economica alla vittima. La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l’aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti «reati d’onore». Le donne vittime della violenza di genere e i loro figli hanno spesso bisogno di un’assistenza e protezione speciali a motivo dell’elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni connesso a tale violenza.»
Articolo 18 – Diritto alla protezione
«Fatti salvi i diritti della difesa, gli Stati membri assicurano che sussistano misure per proteggere la vittima e i suoi familiari da vittimizzazione secondaria e ripetuta, intimidazione e ritorsioni, compreso il rischio di danni emotivi o psicologici, e per salvaguardare la dignità della vittima durante gli interrogatori o le testimonianze. Se necessario, tali misure includono anche procedure istituite ai sensi del diritto nazionale ai fini della protezione fisica della vittima e dei suoi familiari.»
Articolo 19 – Diritto all’assenza di contatti fra la vittima e l’autore del reato
«1. Gli Stati membri instaurano le condizioni necessarie affinché si evitino contatti fra la vittima e i suoi familiari, se necessario, e l’autore del reato nei locali in cui si svolge il procedimento penale, a meno che non lo imponga il procedimento penale.
2. Gli Stati membri provvedono a munire i nuovi locali giudiziari di zone di attesa riservate alle vittime.»
Articolo 21 – Diritto alla protezione della vita privata
«1. Gli Stati membri provvedono a che le autorità competenti possano adottare, nell’ambito del procedimento penale, misure atte a proteggere la vita privata, comprese le caratteristiche personali della vittima rilevate nella valutazione individuale di cui all’articolo 22, e l’immagine della vittima e dei suoi familiari. Gli Stati membri provvedono altresì affinché le autorità competenti possano adottare tutte le misure legali intese ad impedire la diffusione pubblica di qualsiasi informazione che permetta l’identificazione di una vittima minorenne.
2. Per proteggere la vita privata, l’integrità personale e i dati personali della vittima, gli Stati membri, nel rispetto della libertà d’espressione e di informazione e della libertà e del pluralismo dei media, incoraggiano i media ad adottare misure di autoregolamentazione.»
Articolo 22 – Valutazione individuale delle vittime per individuarne le specifiche
esigenze di protezione
«1. Gli Stati membri provvedono affinché le vittime siano tempestivamente oggetto di una valutazione individuale, conformemente alle procedure nazionali, per individuare le specifiche esigenze di protezione e determinare se e in quale misura trarrebbero beneficio da misure speciali nel corso del procedimento penale, come previsto a norma degli articoli 23 e 24, essendo particolarmente esposte al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni.
2. La valutazione individuale tiene conto, in particolare, degli elementi seguenti:
a) le caratteristiche personali della vittima;
b) il tipo o la natura del reato; e
c) le circostanze del reato.
3. Nell’ambito della valutazione individuale è rivolta particolare attenzione alle vittime che hanno subito un notevole danno a motivo della gravità del reato, alle vittime di reati motivati da pregiudizio o discriminazione che potrebbero essere correlati in particolare alle loro caratteristiche
personali, alle vittime che si trovano particolarmente esposte per la loro relazione e dipendenza nei
confronti dell’autore del reato. In tal senso, sono oggetto di debita considerazione le vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, della tratta di esseri umani, della violenza di genere, della
violenza nelle relazioni strette, della violenza o dello sfruttamento sessuale o dei reati basati sull’odio e le vittime con disabilità.»
Articolo 23 – Diritto alla protezione delle vittime con esigenze specifiche di protezione
nel corso del procedimento penale
«1. Fatti salvi i diritti della difesa e nel rispetto della discrezionalità giudiziale, gli Stati membri provvedono a che le vittime con esigenze specifiche di protezione che si avvalgono delle misure speciali individuate sulla base di una valutazione individuale di cui all’articolo 22, paragrafo 1, possano avvalersi delle misure di cui ai paragrafi 2 e 3 del presente articolo. Una misura speciale prevista a seguito di una valutazione individuale può non essere adottata qualora esigenze operative o pratiche non lo rendano possibile o se vi è urgente bisogno di sentire la vittima e in caso contrario questa o un’altra persona potrebbero subire un danno o potrebbe essere pregiudicato lo svolgimento del procedimento.
2. Durante le indagini penali le vittime con esigenze specifiche di protezione individuate a norma dell’articolo 22, paragrafo 1, possono avvalersi delle misure speciali seguenti:
(…)
b) le audizioni della vittima sono effettuate da o tramite operatori formati a tale scopo;
(…)
3. Durante il procedimento giudiziario le vittime con esigenze specifiche di protezione individuate a norma dell’articolo 22, paragrafo 1, possono avvalersi delle misure seguenti:
a) misure per evitare il contatto visivo fra le vittime e gli autori dei reati, anche durante le deposizioni, ricorrendo a mezzi adeguati fra cui l’uso delle tecnologie di comunicazione;
b) misure per consentire alla vittima di essere sentita in aula senza essere fisicamente presente, in particolare ricorrendo ad appropriate tecnologie di comunicazione;
c) misure per evitare domande non necessarie sulla vita privata della vittima senza rapporto con il reato; e
d) misure che permettano di svolgere l’udienza a porte chiuse.»
IN DIRITTO
I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
La ricorrente contesta alle autorità nazionali di non aver protetto il suo diritto al rispetto della vita privata e dell’integrità personale nell’ambito del procedimento penale condotto nel caso di specie. La stessa invoca l’articolo 8 della Convenzione, che recita:
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata (…).
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
La ricorrente lamenta anche di avere subìto una discriminazione fondata sul sesso, affermando che l’assoluzione dei suoi aggressori e l’atteggiamento negativo delle autorità nazionali durante il procedimento penale derivano da pregiudizi sessisti. La stessa invoca l’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 8.
L’articolo 14 è così formulato:
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua,
la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»
Invocando, in particolare, la risposta rapida e minuziosa che le autorità competenti avrebbero dato alla denuncia dell’interessata per violenza sessuale, il Governo afferma che quest’ultima non è stata vittima di alcun trattamento discriminatorio.
La Corte constata che questa doglianza è legata a quella sopra esaminata, e deve pertanto essere dichiarata ricevibile.
Tenuto conto della conclusione alla quale è giunta dal punto di vista dell’articolo 8 e del ragionamento elaborato a tale riguardo (paragrafi 135-143 supra), la Corte ritiene inutile esaminare la questione se vi sia stata, nella fattispecie, anche una violazione dell’articolo 14 (si
veda, tra altri precedenti, M.C. c. Bulgaria, sopra citata).
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE,
. Unisce al merito, all’unanimità, l’eccezione preliminare del Governo relativa alla qualità di vittima e la respinge;
. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile;
. Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
. Dichiara, all’unanimità, non doversi esaminare la doglianza formulata dal punto di vista dell’articolo 14 della Convenzione; ……
Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 27 maggio 2021 – Ricorso n. 5671/16 – Causa J.L. contro l’Italia