Assistenza a persona disabile
Per l’assistenza a persona disabile il legislatore prevede l’istituto del congedo straordinario, circoscritto a ipotesi tassative e contraddistinto da presupposti rigorosi.
Il congedo spetta solo per l’assistenza a persona in condizioni di disabilità grave, debitamente accertata, che si ravvisa solo in presenza di una minorazione, “singola o plurima”, che “abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione” (L. n. 104 del 1992, art. 3, comma 3).
Il legislatore predetermina i limiti temporali del congedo, che “non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa” (D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, comma 5 bis), e definisce la misura del trattamento economico spettante al lavoratore.
Il congedo straordinario è retribuito con “un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento” e si configura come un periodo di sospensione del rapporto di lavoro, coperto da contribuzione figurativa; l’onere economico non resta totalmente a carico del datore di lavoro, in particolare di quello privato, il quale a sua volta lo deduce dagli oneri previdenziali. Il legislatore ha inteso, dunque, farsi carico della situazione della persona in stato di bisogno, predisponendo anche i necessari mezzi economici, attraverso il riconoscimento di un diritto al congedo in capo ad un suo congiunto, il quale ne fruirà a beneficio dell’assistito e nell’interesse generale. Il congedo straordinario è, dunque, espressione dello Stato sociale che si realizza, piuttosto che con i più noti strumenti dell’erogazione diretta di prestazioni assistenziali o di benefici economici, tramite facilitazioni e incentivi alle manifestazioni di solidarietà fra congiunti (v. Corte Cost. n. 203 del 2013).
Quest’ultima pronuncia del Giudice delle leggi sottolinea poi come il congedo straordinario di cui si discute, benchè fosse originariamente concepito come strumento di tutela rafforzata della maternità in caso di figli portatori di handicap grave e sia tuttora inserito in un testo normativo dedicato alla tutela e al sostegno della maternità e della paternità (come recita il titolo del D.Lgs. n. 151 del 2001), ha assunto una portata più ampia. La progressiva estensione del complesso dei soggetti aventi titolo a richiedere il congedo, operata proprio dal giudice delle leggi, ne ha dilatato l’ambito di applicazione oltre i rapporti genitoriali, per ricomprendere anche le relazioni tra figli e genitori disabili, e ancora, in altra direzione, i rapporti tra coniugi o tra fratelli.
Sul versante soggettivo, infatti, il legislatore stabilisce che il congedo straordinario non possa essere riconosciuto a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona (D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, comma 5 bis, terzo periodo) e delinea una precisa gerarchia dei beneficiari (art. 42, comma 5). Il congedo spetta, in primo luogo, al coniuge convivente, che è legittimato a goderne “entro sessanta giorni della richiesta”. In caso di mancanza, di decesso o di patologie invalidanti del coniuge convivente, subentrano “il padre o la madre anche adottivi”. La mancanza, il decesso o le patologie invalidanti dei genitori conferiscono a uno dei figli conviventi il diritto di richiedere il congedo straordinario, che è poi riconosciuto in favore di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi quando anche i figli conviventi manchino, siano deceduti o soffrano di patologie invalidanti.
Con la sentenza n. 203 del 2013 già citata la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, comma 5, nella parte in cui non annoverava tra i beneficiari del congedo straordinario anche i parenti o gli affini entro il terzo grado conviventi, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione censurata.
La medesima Corte, con la sentenza n. 232 del 2018 pure citata, ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, comma 5, nella parte in cui non annovera tra i beneficiari del congedo straordinario ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.
Così sinteticamente premesso il quadro normativo di riferimento erra in diritto la Corte territoriale laddove afferma che, ai fini del congedo straordinario in discorso, “non è richiesta una assistenza personale, continuativa ed ininterrotta” in favore del familiare disabile.
Solo ai diversi fini del godimento dei permessi di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, il legislatore, dopo aver eliminato il requisito della convivenza (L. n. 53 del 2000, art. 19), ha anche eliminato i requisiti della “continuità” e della “esclusività” dell’assistenza prestata al disabile (L. n. 183 del 2010, art. 24, comma 1, successivamente modificato D.Lgs. n. 119 del 2011, ex art. 6).
Tale specifica disciplina non è applicabile al diverso istituto del congedo straordinario per il quale non solo è prevista la necessità della convivenza ma anche, conformemente al dettato prescritto dalla L. n. 104 del 1992, art. 3, comma 3, che si realizzi “un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione” in favore del disabile.
In tal senso recentemente la Corte costituzionale (sent. n. 232/2018 cit.) non solo ha valorizzato la convivenza, che “non si esaurisce in un dato meramente formale e anagrafico, ma esprime, nella quotidiana condivisione dei bisogni e del percorso di vita, una relazione di affetto e di cura”, ma, al fine di estendere la possibilità di fruire del congedo straordinario al figlio originariamente non convivente, lo obbliga, ove gli sia concesso il beneficio, ad “instaurare una convivenza che garantisca al genitore disabile un’assistenza permanente e continuativa”: quindi necessità di un’assistenza permanente e continuativa che realizzi, nella quotidiana condivisione dei bisogni, una costante relazione di affetto e di cura.
Ad esempio, in materia di congedi parentali ex D.Lgs. n. 151 del 2001, è stata ammessa la verifica delle modalità dell’esercizio del diritto potestativo nel suo momento funzionale, per mezzo di accertamenti probatori consentiti dall’ordinamento, ai fini della qualificazione del comportamento del lavoratore nell’ambito sia del rapporto negoziale che del rapporto assistenziale: tale verifica trova giustificazione, sul piano sistematico, nella considerazione che anche la titolarità di un diritto potestativo non determina mera discrezionalità e arbitrio nell’esercizio di esso e non esclude la sindacabilità e il controllo degli atti – mediante i quali la prerogativa viene esercitata – da parte del giudice. Sicchè rileva la condotta contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, nei confronti del datore di lavoro, che in presenza di un abuso del diritto di congedo si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione (la cui gravità va valutata in concreto) dell’affidamento da lui riposto nel medesimo, mentre rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico (Cass. n. 16207 del 2008; successiva conf. Cass. n. 509 del 2018).
Analoghi percorsi argomentativi sono stati tracciati da questa Corte nel contiguo campo – anche se non sovrapponibile – della possibilità che costituisca giusta causa di licenziamento l’utilizzo da parte del lavoratore che fruisca di permessi ex L. n. 104 del 1992, per attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, violando la finalità per la quale il beneficio è concesso (Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 8784 del 2015; Cass. n. 5574 del 2016; Cass. n. 9749 del 2016). In coerenza con la ratio del beneficio, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile. Tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968 del 2016), o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo (v. Cass. n. 9217 del 2016).
Proprio con riferimento all’istituto del congedo straordinario che qui ci occupa questa Corte, infine, pur ammettendo che l’assistenza che legittima il beneficio non può intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, ha sottolineato come sia comunque indispensabile che “risultino complessivamente salvaguardati i connotati essenziali di un intervento assistenziale che deve avere carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione del disabile” (in termini: Cass. n. 29062 del 2017).
Corte di Cassazione Civile Sez. lav., 19/07/2019, n.19580