Competenza del Tribunale per i minorenni e del Tribunale ordinario
Sono di competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti previsti dagli articoli 84, 90, 250, ultimo comma, 251, 317 bis, ultimo comma, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Sono di competenza del tribunale ordinario i procedimenti previsti dagli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile, anche se instaurati su ricorso del pubblico ministero, quando è già pendente o è instaurato successivamente, tra le stesse parti, giudizio di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero giudizio ai sensi degli articoli 250, quarto comma, 268, 277, secondo comma, e 316 del codice civile, dell’articolo 710 del codice di procedura civile e dell’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898.
Invero, è stato osservato nella giurisprudenza di legittimità che l’art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ. (come modificato dall’art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall’1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 cod. civ., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un’ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella Corte d’appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l’impugnazione o sia stato interposto appello (Cass., sez. 6-1, 26 gennaio 2015, n. 1349; Cass., sez. 6-1, 19 giugno 2017, n. 15104; Cass., sez., 6-1, 12 luglio 2017, n. 17190).
Pertanto, i provvedimenti ablativi ed imitativi della responsabilità genitoriale costituiscono una «categoria di confine», sussistendo una interrelazione delle misure de potestate con i provvedimenti in tema di affidamento dei minori. Si è osservato, infatti, che la domanda di affidamento esclusivo per comportamento pregiudizievole dell’altro genitore e la richiesta di un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale svolta in pendenza di un conflitto familiare sono «sostanzialmente indistinguibili» (in tal senso anche Cass., sez. 6-1, 12 febbraio 2015, n. 2833). Pertanto, prima della riforma del 2012, la Corte ha addotto il principio di «concentrazione» delle tutele, evidenziando che le soluzioni processuali devono essere ispirate a principi di coerenza logica e ancorate alla valutazione concreta del loro impatto operativo (Cass., n. 8362 del 2007). L’applicazione del principio della «concentrazione delle tutele», come introdotto con la modifica dell’art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, modificato dall’art. 3, primo comma, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Cass., sez. 6-1, 14 gennaio 2016, n. 432, trattandosi di giudizi tra le stesse parti, tranne l’ipotesi in cui vi sia richiesta del pubblico ministero di dichiarazione dello stato di adottabilità), ha anche l’effetto di evitare la proposizioni di «azioni di disturbo», volte a paralizzare l’efficacia di statuizioni non gradite, puntando sulla mancata conoscenza completa della situazione di conflitto genitoriale o sull’allegazione di fatti diversi. Si è, dunque, in presenza di una vis attractiva predeterminata ex lege, dettata da una «connessione oggettiva e soggettiva e legata ad una esigenza di effettività ed uniformità della tutela giudiziale, realizzabile soltanto mediante la devoluzione delle controversie ad un unico giudice, quale che sia il grado della controversia, in modo che il quadro fattuale sul quale sono assunti provvedimenti in tema di affidamento di minori sia il medesimo per i provvedimenti ex art. 330 e 333 c.c. A tale soluzione non osta neppure il salto di un grado, peraltro privo di copertura costituzionale o la diversa natura dei giudizi di primo e secondo grado. Tra l’altro tali giudizi sono sottoposti al rito camerale, quindi ad un rito all’interno del quale non operano le preclusioni del rito ordinario, potendo essere allegati in ogni tempo nuovi fatti e dedotte nuove prove (Cass., n. 14022 del 2000).
Si aggiunge che se è vero che l’art. 333 c.c., in caso di sussistenza di pregiudizio per i minori, prevede che il tribunale per i minorenni possa emettere i provvedimenti convenienti, tuttavia l’art. 155 c.c., prima e dopo la novella del 2006, ma anche con l’introduzione dell’art. 337-ter c.c., prevede che il giudice della separazione possa decidere anche ultra petitum, assumendo i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse materiale e morale di essa. Del resto, ai sensi della legge n. 898 del 1970, l’art. 6, comma 8, in sede di divorzio, il tribunale può procedere all’affidamento dei minori a terzi, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori.
Ancora l’art. 709-ter c.c. precisa che il giudice della separazione può emettere provvedimenti opportuni, anche quando emergano gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore (Cass., 22 maggio 2014, n. 11412; Cass., sez. 6-1, 5 ottobre 2011, n. 20352).
Corte di Cassazione, Sez. 1, Ordinanza n. 32871 del 08/11/2022