Il giudizio di rinvio è la fase rescissoria che segue la fase rescindente operata dalla Corte di Cassazione a seguito dell’annullamento della sentenza impugnata. In tali casi la Corte rinvia la causa ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata (art. 383 C.p.C.), il quale deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte (art. 384, comma 2 C.p.C.).
Il giudizio di rinvio è soggetto alla disciplina specifica prevista dagli artt. 392 e ss. C.p.C., che prevede due possibili esiti alternativi: la riassunzione (ad opera di qualunque parte) con la conseguente pronuncia del giudice del rinvio in attuazione del dictum della Cassazione o l’estinzione dell’intero processo. (Cass. Sez. I, n. 16506/2019).
La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, può essere fatta da ciascuna delle parti non oltre tre mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione (art. 392 C.p.C.)
Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui all’articolo precedente, o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, l’intero processo si estingue; ma la sentenza della Corte di cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda (art. 393 C.p.C.)
Va pertanto escluso che possa determinarsi nei confronti della parte rimasta contumace nel giudizio di rinvio, la causa di improcedibilità dell’appello e possa ricorrere il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, oramai travolta dalla pronuncia di legittimità; invero gli effetti della contumacia dichiarata nel giudizio di rinvio trovano un limite espresso costituito dalla previsione dell’art. 394, secondo comma, C.p.C. che stabilisce, proprio per il giudizio di rinvio, che “Le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata” e cioè nel primo giudizio di appello.
La questione è già stata chiarita dalla Corte di legittimità, che, al riguardo, ha affermato che “In caso di cassazione con rinvio, il giudice di merito, se è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte per le questioni già decise, per gli altri aspetti della controversia rimasti impregiudicati o non definiti nelle precorse fasi del giudizio deve esaminare “ex nova” il fatto della lite e pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate e pretermesse nei precedenti stati processuali, indipendentemente dalla relativa riproposizione, senza che rilevi l’eventuale contumacia della parte interessata, che non può implicare rinuncia o abbandono delle richieste già specificamente rassegnate od acquisite al giudizio; ne consegue che dalla contumacia della parte nel giudizio di rinvio non può derivare la rinuncia alle domande riproposte nel grado di appello e, pertanto, non sussiste alcuna preclusione da giudicato interno.” (Cass. n. 4070 del 12/02/2019; cfr. anche Cass. n. n. 24336 del 30/11/2015); e ciò nonostante il giudizio di rinvio non sia configurabile “quale continuazione di quello in esito al quale è stata emessa la decisione impugnata, ma come una nuova, autonoma fase del giudizio. Ne consegue la necessità di una nuova costituzione delle parti, con l’osservanza delle norme relative a tale atto. Pertanto, la mancata costituzione di una di esse ne comporta la contumacia, anche se la stessa parte si era costituita nelle precedenti fasi del giudizio.” (Cass. n. 15489 del 06/12/2000).
Si deve quindi affermare il seguente principio “Nel giudizio di rinvio ex art.392 e ss. C.p.C., riassunto dall’appellato, la declaratoria di contumacia dell’originario appellante non comporta l’improcedibilità dell’appello originario, né il passaggio in giudicato nei suoi confronti della sentenza di primo grado.” (Cass. Sez. I, n. 16506/2019).