L’incapacità naturale opera al di fuori della nozione dell’incapacità legale e comprende tutte quelle ipotesi, anche temporanee o transitorie, in cui la persona sia incapace di intendere e di volere. Si tratta di un sistema di tutela del soggetto debole o incapace, qualora non siano stati attivati gli strumenti legali dell’interdizione e dell’inabilitazione, che limitano totalmente o parzialmente la capacità di agire con la conseguente inefficacia giuridica degli atti posti in essere dal soggetto incapace.
In tale situazione di incapacità naturale o non dichiarata opera l’art. 428 C.c., primo e secondo comma: “Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d’intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’autore. L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell’altro contraente“.
Mentre il primo comma dell’art. 428 C.c. fa riferimento al concetto di “atto giuridico“, da quale risulta un grave pregiudizio all’autore, il secondo comma concerne la nozione di “contratto” e oltre al grave pregiudizio è necessaria la malafede dell’altro contraente.
L’incapacità naturale o non dichiarata di un soggetto trova altra tutela giuridica anche sotto il profilo penalistico, ai sensi dell’art. 643 C.p., “Circonvenzione di persone incapaci“, sotto il profilo di tutela del patrimonio del soggetto e della sua libertà di autodeterminazione.
Entrambe le norme (civile e penale) prevedono l’accertamento della condizione psichica del soggetto incapace.
Orbene, è necessario riportare il quadro normativo delle due fattispecie alla luce dell’intervento ermeneutico svolto dalla giurisprudenza di legittimità.
L’art. 428 C.c. stabilisce che l’atto negoziale compiuto da persona incapace d’intendere e volere al momento della sua conclusione, può essere annullato se ne risulta un grave pregiudizio per il suo autore. Ulteriore requisito è la malafede dell’altro contraente.
La fattispecie incriminatrice contenuta nell’art. 643 C.p. è la seguente ; “Chiunque per procurare a sé od ad altri un profitto, …abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 206 a euro 2.065“.
Dalla mera comparazione testuale delle due fattispecie risulta già enucleabile una prima rilevante differenza in ordine al requisito relativo all’anomala condizione soggettiva dell’autore dell’atto negoziale.
L’art. 428 C.c. richiede l’accertamento di una condizione espressamente qualificata d’incapacità d’intendere e volere, ovvero uno stato patologico psichico che non consente né di comprendere sul piano intellettivo e cognitivo la natura e gli effetti dell’atto che si compie né d’impegnare liberamente la volontà personale nel regolamento d’interessi contenuto nell’atto predetto. Dal punto di vista dei requisiti del soggetto agente in condizione di minorità psichica la norma non richiede alcun altro accertamento. Il “grave pregiudizio” costituisce un requisito obiettivo e del tutto autonomo rispetto alla condizione dell’autore. Allo stesso modo opera la malafede dell’altro contraente, per integrare la quale non è affatto richiesto di concorrere nella realizzazione della condizione d’incapacità soggettiva dell’altro autore dell’atto, essendo sufficiente essere a conoscenza di tale condizione.
Nell’articolo 643 C.p. l’accertamento della situazione soggettiva di deficienza od infermità psichica è indissolubilmente legato a quello riguardante l’induzione a compiere l’atto. Ne consegue che non è necessario che si sia determinata una condizione d’incapacità d’intendere e volere ancorché transitoria, come richiesto ai fini dell’incapacità naturale, ovvero un sostanziale azzeramento della capacità cognitivo-intellettiva e di quella volitiva. E’ invece sufficiente che l’autore dell’atto versi in una situazione soggettiva di “fragilità” psichica, derivante dall’età, dall’insorgenza o dall’aggravamento di una patologia neurologica o psichiatrica o “dovuta ad anomale dinamiche relazionali” (Cass. pen. 36424 del 2015) che consenta all’altrui opera di suggestione ed induzione di deprivare il personale potere di autodeterminazione, di critica e di giudizio.
Il rilievo della “anomala dinamica relazionale” nell’accertamento dell’elemento materiale del reato costituisce l’elemento di maggiore differenziazione tra le due fattispecie. Il grado di menomazione delle facoltà intellettive e volitive è valutato all’interno del rapporto incube-succube. Se la “fragilità” del soggetto passivo è idonea a determinare un condizionamento effettivo nella libertà di autodeterminazione di chi la esegue può consumarsi il reato di circonvenzione d’incapace. Non è necessario un accertamento diagnostico di piena incapacità d’intendere e volere. E’ compatibile con il perfezionamento della fattispecie incriminatrice che il soggetto passivo possa rappresentarsi cognitivamente gli effetti (anche pregiudizievoli dell’atto) e che non li desideri per sé ma se non riesce a sottrarsi per i fattori soggettivi sopra individuati alla sua commissione a causa dell’altrui induzione, può integrarsi il complesso degli elementi costitutivi del reato.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza penale di legittimità, “per la sussistenza dell’elemento dell’ induzione, non è richiesto l’uso di mezzi coattivi o di artifici o raggiri, ma è pur sempre necessaria un’attività apprezzabile di pressione morale, di suggestione o di persuasione, cioè di spinta psicologica” (Cass. n. 28080 del 2015). L’accertamento della minorata condizione di autodeterminazione del soggetto passivo (Cass. n. 39144 del 2013) è indefettibile (Cass. n. 17762 del 2014) ma non è diretto alla verifica di un’integrale incapacità d’intendere e volere, o di una condizione di grave compromissione di tale capacità, ancorchè non assoluta, come per la causa di annullamento del contratto prevista nell’art. 428 C.c., essendo sufficiente che il complessivo indebolimento psichico consenta l’esercizio della pressione e dell’induzione necessaria a far compiere l’atto dannoso per la propria sfera giuridico-patrimoniale al soggetto passivo.
Anche gli orientamenti della giurisprudenza civile di legittimità confermano tale rilevante linea di demarcazione nell’accertamento di fatto posto a base delle due fattispecie. Con la pronuncia n. 8948 del 1994 (alla quale sono seguite le conformi n. 1427 del 2004; n. 12126 del 2006 e n. 2860 del 2008), è stato affermato il principio secondo il quale: “L’incriminazione della circonvenzione d’incapace, prevista dall’art. 643 C.p. il cui scopo va ravvisato, più che nella tutela dell’incapacità in sé e per sè considerata, nella tutela dell’autonomia privata e della libera esplicazione dell’attività negoziale delle persone in stato di menomazione psichica, deve annoverarsi tra le norme imperative la cui violazione comporta, ai sensi dell’art. 1418 C.c., oltre la sanzione penale, la nullità del contratto concluso in spregio della norma medesima“. La differenza con l’art. 428 C.c. emerge dal differente bene giuridico che caratterizza la fattispecie incriminatrice rispetto al sistema civilistico di tutela dell’incapacità. La differenza si coglie nella maggiore ampiezza dell’offensività del delitto di circonvenzione d’incapace, in quanto lesivo, non in forma statica ma dinamica, del libero esercizio dell’autodeterminazione nella cura dei propri interessi e nella conseguente corretta ed affidabile circolazione dei beni. Nella motivazione della sentenza citata la differenza viene esplicitata in modo efficace nella parte in cui viene sottolineato “che non sussiste neppure omogeneità – dal lato passivo – tra la fattispecie dell’art. 643 C.p. e quella dell’art. 428 C.c., posto che il concetto di deficienza psichica, nella prima ipotesi, è stato, dalla giurisprudenza di legittimità esteso fino a ricomprendere qualsiasi menomazione del potere di critica, qualsiasi indebolimento della funzione volitiva o affettiva che agevolino la suggestionabilità e diminuiscano i poteri di difesa del soggetto passivo (situazioni che sono state ricollegate ai più diversi fattori, quali il sesso, l’età, la debolezza di carattere, la carenza di cultura e di rapporti interpersonali: Cass. n. 439 del 1970; n. 64 del 1972; n. 4824 del 1979), mentre per l’incapacità naturale di cui all’art. 428 C.c. è richiesto una menomazione della sfera intellettiva e volitiva di particolare gravità … pari a quella necessaria per l’interdizione pur se momentanea e transitoria“.
Non si ignora la critica sollevata dalla dottrina alla configurazione del rapporto tra le due fattispecie, derivante dagli orientamenti sopra richiamati. Viene, in particolare, evidenziato che ad uno stadio di deficienza psichica meno grave consegue la sanzione della nullità radicale dell’atto mentre per l’incapacità naturale, che richiede un grado di compromissione elevato o una condizione analoga a quella che determina l’interdizione o l’inabilitazione, la conseguenza è soltanto quella dell’annullabilità dell’atto.
Deve rilevarsi che tale obiezione non considera la complessità delle condotte che integrano la fattispecie delittuosa. L’accertamento della menomazione della facoltà di autodeterminarsi liberamente non esaurisce la pluralità degli elementi costitutivi del reato. Ad essa, deve accompagnarsi una “anomala dinamica relazionale” quale quella che si determina tra l’incube ed il succube. La creazione, il potenziamento o anche il solo approfittamento della relazione di superiorità costituisce il quid pluris del delitto di circonvenzione d’incapace perché ne sottolinea e ne stigmatizza la potenzialità offensiva non limitata al singolo atto. Nella fattispecie civilistica della causa di annullamento del contratto per incapacità naturale, invece, la finalità della norma è la salvaguardia del processo autodeterminativo in ordine ad un solo atto.
Ne consegue un accertamento rigidamente determinato nel tempo e nell’oggetto che deve coincidere con l’incapacità d’intendere e volere. Come già rilevato, la malafede dell’altro contraente non è dettata necessariamente da una condotta attiva rivolta verso l’autore dell’atto, ben potendo concretarsi nella mera conoscenza della condizione d’incapacità dell’altra parte contrattuale. La previsione civilistica, in conclusione si rivolge alla valutazione della corretta determinazione di volontà rivolta verso uno specifico atto. La fattispecie incriminatrice tende a reprimere una condotta illecita ad alta potenzialità offensiva. Il fatto che le conseguenze civilistiche dell’accertamento della condotta penalmente rilevante si rivolgono ad un singolo od a singoli atti non scalfisce la diversità delle due fattispecie, sotto il profilo dell’accertamento degli elementi oggettivi e soggettivi che le integrano. Il regime giuridico dell’invalidità degli atti negoziali si rivolge ai singoli atti anche quando la nullità deriva ex art. 1418 C.c. dall’aver concluso un negozio in violazione di norme imperative, quali quelle penali.
Non si ravvisa alcuna contraddittorietà, pertanto, nella nullità (Cass. n. 1427 del 2004; n. 12126 del 2006 e n. 2860 del 2008) conseguente all’accertamento della circonvenzione d’incapace del soggetto che pone in essere un atto con effetti dannosi per la propria sfera giuridico patrimoniale e nell’annullabilità ex art. 428 C.c.
Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. 1 Num. 10329 Anno 2016