La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente il rigetto della richiesta di ammissione al lavoro di pubblica utilità, proposta a norma dell’art. 73, comma 5-bis, D.P.R. n. 309 del 1990.
Nella fattispecie in esame viene in evidenza la discrezionalità dell’applicazione della misura del lavoro di pubblica utilità mentre ai fini del diniego, occorre valutare tutti gli elementi di cui all’art. 133 C.p., ivi compreso quello concernente i precedenti penali, in una prospettiva diretta ad apprezzare l’idoneità della misura ai fini della rieducazione del condannato.
L’art. 73, comma 5-bis, primo periodo, D.P.R. n. 309 del 1990, recita: “Nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del Decreto Legislativo 28 Agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste“.
In giurisprudenza, più decisioni hanno affermato che l’applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità prevista dall’art. 73, comma 5-bis, D.P.R. n. 309 del 1990, non consegue automaticamente al ricorrere dei presupposti legali, bensì è oggetto di una valutazione discrezionale del giudice in ordine alla meritevolezza dell’imputato ad ottenerla (Cass., Sez. 4, n. 39022 del 15/03/2016; Cass., Sez. 3, n. 6876 del 27/01/2011; Cass., Sez. 6, n. 38110 del 18/06/2009).
A fondamento della conclusione secondo cui l’applicazione della pena alternativa non consegue automaticamente al ricorrere dei presupposti legali, ma presuppone una valutazione giudiziale di meritevolezza di natura discrezionale, si richiama la formulazione testuale della disposizione citata, in particolare laddove recita: “Il giudice […] può applicare” (così, specificamente, Cas., Sez. 6, n. 38110 del 2009). Si aggiunge che un elemento particolarmente significativo ai fini di tale giudizio è costituito dalla personalità dell’imputato (Cass., Sez. 6, n. 38110 del 2009; Cass., Sez. 3, n. 6876 del 2011), anche perché l’istituto presuppone una valutazione circa la idoneità della misura a tendere alla rieducazione del condannato (per questo rilievo, Cass., Sez. 3, n. 6876 del 2011).
Invero, nel sistema delle sanzioni applicabili dal giudice di pace di cui al D.lgs. n. 274 del 2000, espressamente richiamato dall’art. 73, comma 5-bis, D.P.R. n. 309 del 1990, l’irrogazione di quella del lavoro di pubblica utilità segue sempre ad una valutazione discrezionale del giudice, sia perché il legislatore usa il verbo “può” (art. 54, comma 1, D.lgs. n. 274 del 2000), sia perché è sempre possibile la scelta di irrogare altra misura, e cioè la permanenza domiciliare o la pena pecuniaria.
Inoltre, anche nel sistema delle sanzioni del codice della strada, che, all’art. 186, comma 9-bis, D.lgs. n. 285 del 1992 (e successive modifiche), contiene una previsione analoga a quella di cui all’art. 73, comma 5-bis, D.P.R. n. 309 del 1990, l’applicazione della misura di cui all’art. 54 D.lgs. n. 274 del 2000 in sostituzione della pena detentiva e pecuniaria è ormai, secondo l’indirizzo ormai ampiamente prevalente, rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, da compiersi secondo i criteri dettati dall’art. 133 C.p. (così, tra le altre, Cass., Sez. 4, n. 13466 del 17/01/2017, nonché Cass., Sez. 4, n. 15018 del 13/12/2013).
Sembra significativo aggiungere che le esposte conclusioni, sebbene incidentalmente, risultano condivise anche nella giurisprudenza della Corte Costituzionale. Questa, infatti, pur pronunciandosi specificamente in tema di reati previsti dal D.lgs. n. 285 del 1992 (e successive modifiche), ha però precisato che “analogamente a quanto avviene per le sanzioni sostitutive previste dagli artt. 53 e seguenti della Legge 24 Novembre 1981, n. 689, e per quella stessa del lavoro di pubblica utilità, prevista in rapporto a taluni reati in materia di stupefacenti dall’art. 73, comma 5-bis, del D.P.R. 9 Ottobre 1990, n. 309, il potere di sostituzione rientra nel più generale potere discrezionale di determinazione della pena in concreto per il fatto oggetto di giudizio, spettante al giudice che pronuncia il decreto penale o la sentenza di condanna“, e che come risulta dall’impiego della voce verbale “può”, l’applicazione della pena sostitutiva in questione non costituisce, infatti, oggetto di un diritto dell’imputato, ma è disposta discrezionalmente dal giudice sulla base di una valutazione di meritevolezza che ha quali parametri i criteri enunciati dall’art. 133 del codice penale – così come, del resto, è espressamente stabilito dall’art. 58 della Legge n. 689 del 1981 – oltre che sulla base di una prognosi di positivo svolgimento del lavoro” (così Corte Cost., n. 43 del 2013).
Corte di Cassazione Sent. Sez. 3 Num. 26082 Anno 2020