Le cose
Amo le cose che non ebbi mai
con le altre che ora non ho più:
io tocco un’acqua silenziosa
distesa sopra pascoli infreddati
che rabbrividiva senza vento
in un orto che era il mio orto.
La guardo ora come la guardavo;
mi dà uno stravagante pensamento
e gioco, lenta, con codesta acqua
come con un pesce o col mistero.
Penso a una soglia dove io lasciai
quei passi allegri che oramai non faccio;
e in quella soglia io vedo una piaga
piena di muschio, piena di silenzio.
Vado cercando un verso che ho perduto,
e che mi dissero ai sette anni.
Fu una donna mentre faceva il pane
e io rivedo la sua santa bocca.
Arriva un aroma rotto in raffiche;
sono molto allegra se lo sento;
ma così delicato non è aroma,
è piuttosto l’odore dei mandorli.
Mi fa tornar bambini i sentimenti,
cerco di dargli un nome e non lo trovo,
e intanto fiuto l’aria ed i villaggi
cercando mandorli che non vi rintraccio.
Un fiume sempre risuona vicino.
È da quarant’anni che lo sento.
Sarà il gorgheggiare del mio sangue,
oppure un ritmo che mi hanno donato.
O il fiume Elqui della mia infanzia
che io risalgo e passo a guado.
Mai me lo perdo: cuore con cuore,
come due bambini ci teniamo.
Quando io sogno la mia Cordigliera
io m’incammino per stretti passaggi,
e, senza tregua, li vado ascoltando,
un sibilo che sembra un giuramento.
Vedo all’estremo del Pacifico,
il mio arcipelago violetto,
mi è rimasto da una delle isole,
un acre odore di alcione morto.
Un dorso, un dorso grave e dolce,
dà fine al sogno che io sogno.
È questo il termine del mio camminare,
ed io mi riposo quando arrivo.
È tronco morto oppure è mio padre
quel vago dorso cenerino.
Io non faccio domande, non lo turbo,
mi stendo accanto, mi sto zitta e dormo.
Io amo una pietra di Oaxaca
o Guatemala, a cui mi accosto;
è rossa e fissa come la mia faccia
e la sua crepa un alito emana.
Quando mi addormento resta nuda;
e io non so perché poi la rivolto.
E forse non l’ho posseduta mai,
ed è il mio sepolcro ciò che vedo.
Gabriela Mistral, all’anagrafe Lucila de María del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga (Vicuña, Cile, 7 Aprile 1889 – New York, 10 Gennaio 1957) è stata una famosa poetessa, insegnante, giornalista e femminista cilena, oggi ancora poco conosciuta sebbene una delle personalità letterarie più importanti del Novecento. Lo pseudonimo di Gabriela Mistral è un omaggio a Gabriele d’Annunzio e Frédéric Mistral, i due poeti più ammirati e studiati.
Come si legge nella sua biografia, Gabriela Mistral ha ricoperto vari incarichi nel corso della sua vita, il più noto è certamente quello dell’insegnante nelle scuole elementari di campagna, nella assidua convinzione che il ruolo educativo sia quello più importante per lo sviluppo dell’essere umano sin dalla tenera età, accessibile a tutti, ed è per questo motivo che partecipa ai lavori sulla dichiarazione dei diritti dei bambini all’ONU.
L’insegnamento e la letteratura diventano per Gabriela, oltre ad una passione, anche una missione sociale.
Dall’indole anticonformista in una terra fortemente conservatrice ed arretrata come il Cile, Gabriela Mistral porta avanti anche una battaglia per il riconoscimento dei diritti delle donne e della parità di genere in ambito lavorativo.
E’ stata, inoltre, la prima donna di origine latino americana, a vincere il Premio Nobel per la letteratura, il 10 dicembre del 1945 (ed attualmente è l’unica donna del Sud America ad aver ricevuto il prestigioso premio) oltre a ricoprire la carica di console del Cile dal 1932 fino alla sua morte.
Tra le sue opere letterarie occorre citare la raccolta di poesie Desolación (pubblicato a New York nel 1922), Tala (pubblicato nel 1938) e Lagar (pubblicato nel 1954 dopo il suicidio del nipote).
Le tematiche ricorrenti nelle sue liriche sono in particolare quelle dell’amore, del dolore, della morte (con riferimento alla scomparsa del primo amore Romeo), la maternità (con riferimento alla madre), la solitudine, le tradizioni e le origini, e in alcuni passi si rinvengono stili ed influenze straniere, frutto della sua instancabile sete di viaggiatrice per il mondo e conoscenza dell’ “altro” come ricchezza.