La lingua propria di ciascun gruppo etnico rappresenta un connotato essenziale della nozione costituzionale di minoranza etnica, al punto da indurre il Costituente a definire quest’ultima quale “minoranza linguistica”.
Come elemento fondamentale di identità culturale e come mezzo primario di trasmissione dei relativi valori e, quindi, di garanzia dell’esistenza e della continuità del patrimonio spirituale proprio di ciascuna minoranza etnica, il diritto all’uso della lingua materna nell’ambito della comunità di appartenenza è un aspetto essenziale della tutela costituzionale delle minoranze etniche, che si collega ai principi supremi della Costituzione: al principio pluralistico riconosciuto dall’art. 2 (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali”), al principio di eguaglianza di fronte alla legge, garantito dall’art. 3, primo comma (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzioni … di lingua …”), e al principio di giustizia sociale e di pieno sviluppo della personalità umana nella vita comunitaria, assicurato dall’art. 3, secondo comma (“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalità umana…”).
Sulla base dei principi costituzionali non vi può esser dubbio che la tutela di una minoranza linguistica riconosciuta si realizza pienamente, sotto il profilo dell’uso della lingua materna da parte di ciascun appartenente a tale minoranza, quando si consenta a queste persone, nell’ambito del territorio di insediamento della minoranza cui appartengono, di non essere costrette ad adoperare una lingua diversa da quella materna nei rapporti con le autorità pubbliche.
Questa affermazione assume un valore particolare in riferimento all’uso della lingua materna di fronte all’autorità giudiziaria, poiché in tali rapporti ricorre in ogni caso un’indubbia interferenza di questa tutela con la garanzia costituzionale dei diritti inviolabili della difesa e, più precisamente, con il diritto a un regolare processo (art. 24 della Costituzione).
Interferenza, occorre sottolineare, e non coincidenza o sovrapposizione con la tutela comportata dal riconoscimento dei diritti della difesa, poiché, mentre quest’ultima è finalizzata, per il profilo ora rilevante, alla adeguata comprensione degli aspetti processuali e suppone che questa possa mancare quando l’interessato non abbia in concreto una perfetta conoscenza della lingua ufficiale del processo (come, ad esempio, nel caso dello straniero), al contrario la garanzia dell’uso della lingua materna a favore dell’appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta è, in ogni caso, la conseguenza di una speciale protezione costituzionale accordata al patrimonio culturale di un particolare gruppo etnico e, pertanto, prescinde dalla circostanza concreta che l’appartenente alla minoranza stessa conosca o meno la lingua ufficiale.
CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA 5-24 FEBBRAIO 1992 N. 62