Il reato di “Molestia o disturbo alle persone” è disciplinato dall’art. 660 C.p. che stabilisce che “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516“.
Giova in premessa rammentare che, come la Corte di legittimità insegna, con la disposizione prevista dall’art. 660 C.p. il legislatore, attraverso la previsione di un fatto recante molestia alla quiete di un privato, ha inteso tutelare la tranquillità pubblica per l’incidenza che il suo turbamento ha sull’ordine pubblico, data l’astratta possibilità di reazione. L’interesse privato individuale riceve una protezione soltanto riflessa e la tutela penale è accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate o disturbate, dal momento che ciò che viene in rilievo è la tutela della tranquillità pubblica per i potenziali riflessi sull’ordine pubblico di quei comportamenti idonei a suscitare nel destinatario reazioni violente o moti di ribellione.
L’elemento materiale della “molestia” è costituito dall’interferenza non accetta che altera dolorosamente, fastidiosamente o importunamente, in modo immediato o mediato, lo stato psichico di una persona (Cass., Sez. 1, n. 19718 del 24/03/2005) e l’atto per essere molesto deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma dev’essere anche ispirato da biasimevole, ossia riprovevole motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire nella sfera privata di altri attraverso una condotta fastidiosamente insistente e invadente.
La Corte di legittimità ha, da tempo, anche affermato che il reato di molestia o disturbo alle persone non ha natura necessariamente abituale e non pretende sempre e comunque una reiterazione di comportamenti intrusivi e sgraditi nella vita altrui, sicché può essere realizzato anche con una sola azione purché particolarmente sintomatica la stessa dei motivi specifici che l’hanno ispirata.
Con riferimento all’intento della condotta costituito da biasimevole motivo è sufficiente, infatti, anche il compimento di un unico gesto, come nel caso di una sola telefonata effettuata con modalità rivelatrici dell’intrusione nella sfera privata del destinatario (Cass., Sez. 1, n. 3758 del 07/11/2013; Cass., Sez. 6, n. 43439 del 23/11/2010; Cass., Sez. 1, n. 11514 del 16/03/2010).
Occorre però chiarire (cit. Cass. n. 37974/2021) se la condotta tipizzata nella norma incriminatrice, con riferimento al mezzo del reato della comunicazione telefonica, non ricomprende i messaggi inviati con gli attuali sistemi di messaggistica istantanea, aventi peculiarità differenti che sfuggono alle ragioni di tutela penale sottese alla fattispecie in argomento. A tale approdo esegetico è pervenuta da tempo la giurisprudenza di legittimità, valorizzando il carattere non invasivo di tale forma di comunicazione, alla quale il destinatario può sottrarsi, non già disattivando l’apparato telefonico con conseguente lesione, in tale evenienza, della propria libertà di comunicazione, ma semplicemente bloccando l’utente sgradito e così impedendo la ricezione di messaggi indesiderati, senza compromettere la libera fruizione del mezzo del telefono. L’unico settore in cui la giurisprudenza è pervenuta a conclusioni parzialmente difformi è quello afferente ai c.d. sms, in quanto il destinatario sarebbe costretto a percepirli, sia de auditu che de visu, prima di poterne individuare il mittente.
La quaestio iuris sul significato da attribuire alla locuzione “col mezzo del telefono“, utilizzata dal legislatore del 1930, si è posta nel momento in cui si è reso necessario verificare la riconducibilità o meno alla previsione normativa di innovative modalità di lesione, imprevedibili al momento della posizione della fattispecie.
Con riferimento ai messaggi di posta elettronica, idonei a provocare turbamento o fastidio nel destinatario, Cass., Sez 1, n. 24510 del 17/06/2010, ha precisato come la sentita esigenza di espandere la tutela della tranquillità individuale incontra il limite coessenziale della legge penale costituito dal “principio di stretta legalità” e di tipizzazione delle condotte illecite, sanciti dall’art. 25, secondo comma, Cost., e dall’art. 1 C.p.
Il mezzo telefonico assume rilievo ai fini dell’ampliamento della tutela penale -altrimenti limitata alle molestie arrecate in luogo pubblico o aperto al pubblico – proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l’apparecchio telefonico; la comunicazione telefonica comporta, infatti, una immediata interazione tra il chiamante e il chiamato e una diretta intrusione del primo nella sfera delle attività del secondo.
La citata pronunzia, pur dando continuità all’orientamento ermeneutico, secondo cui “Nella generica dizione di cui all’art 660 C.p., “col mezzo del telefono”, sono compresi anche la molestia e il disturbo recati con altri analoghi mezzi di comunicazione a distanza”, come mediante il citofono (Cass., Sez. 6, n. 8759 del 05/05/1978), per essere l’azione perturbatrice dei due sistemi di telecomunicazione vocale perfettamente identica, ha, tuttavia, escluso che l’interpretazione estensiva della locuzione in esame possa essere dilatata sino a comprendere anche le modalità di comunicazione asincrona, come l’invio di posta elettronica, che utilizza la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza, ma non il telefono, né costituisce applicazione della telefonia, consistente, invece, nella teletrasmissione, in modalità sincrona, di voci o di suoni. Invero, “L’invio di un messaggio di posta elettronica, – esattamente proprio come una lettera spedita tramite il servizio postale – non comporta (a differenza della telefonata) nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario“, in quanto “L’azione del mittente si esaurisce nella memorizzazione di un documento di testo (colla possibilità di allegare immagini, suoni o sequenze audiovisive) in una determinata locazione della memoria dell’elaboratore del gestore del servizio, accessibile dal destinatario” e “la comunicazione si perfeziona, se e quando il destinatario, connettendosi, a sua volta, all’elaboratore e accedendo al servizio, attivi una sessione di consultazione della propria casella di posta elettronica e proceda alla lettura del messaggio“.
Viceversa, possono e devono essere ricondotti nell’alveo della previsione incriminatrice, i messaggi di testo “short messages system” (c.d. sms), trasmessi attraverso apparati telefonici mobili o fissi, non essendo essi assimilabili a quelli di tipo epistolare, “in quanto il destinatario è costretto, sia de auditu che de visu, a percepirli, con corrispondente turbamento della quiete e tranquillità psichica“.
Secondo tale pronunciamento, dunque, l’evento immateriale -o psichico- del turbamento del soggetto passivo costituisce condizione necessaria ma non sufficiente ai fini della sussistenza del reato, dovendo necessariamente concorrere gli ulteriori profili circostanziali della condotta del soggetto attivo, tipizzati dalla norma incriminatrice, e nella locuzione “col mezzo del telefono” rientrerebbero solo le comunicazioni che avvengono con modalità sincrona, dando luogo ad una immediata interazione tra soggetto agente e destinatario della comunicazione, anche se effettuate non propriamente con il mezzo del telefono, ma con altri analoghi mezzi di comunicazione a distanza (come il citofono), secondo un’interpretazione teleologica e non strettamente letterale del dettato normativo.
Ma la giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 1, n. 36779 del 27/09/201, ritornando sul tema della configurabilità del reato di molestie con lo strumento della posta elettronica e muovendo dal rilievo che i risultati dell’innovazione tecnologica consentono di inviare messaggi e-mail, in entrata e in uscita, attraverso i normali apparecchi telefonici, fissi o mobili, sostanzialmente con le stesse modalità di invio degli sms), ha precisato che al termine telefono, espressivo “dell’instrumentum della contravvenzione de qua“, va equiparato, senza esondare dal perimetro dei possibili significati della formulazione letterale impiegata dal legislatore, qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza possibilità per lo stesso di sottrarsi alla “immediata” interazione con il mittente. Si è rimarcato, infatti, come non possa essere considerato dirimente il criterio incentrato sul carattere sincronico o asincronico del contenuto della comunicazione, stante la sostanziale identità dei due sistemi di telecomunicazione vocale; ciò che deve essere ritenuto decisivo è, invece, il diverso criterio dell’invasività del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario dell’azione perturbatrice. Sviluppando l’impostazione ermeneutica, (seguita da Cass., Sez. 3, n. 28680 del 26/06/2004), secondo la quale quello che l’art. 660 C.p. ha voluto incriminare non è solo il messaggio molesto che il destinatario è costretto ad ascoltare per telefono, ma ogni messaggio che è costretto a percepire, sia de auditu che de visu, perché entrambi i tipi di messaggio sono idonei a mettere a repentaglio la libertà e la tranquillità psichica del ricevente, e che anche l’invio di un messaggio di posta elettronica può realizzare in concreto una diretta e sgradita intrusione del mittente nella sfera delle attività del destinatario, quando la comunicazione sia accompagnata da un avvertimento acustico, che ne indichi l’arrivo in forma petulante, con un’intensità tale da condizionare la
tranquillità del ricevente. (cit. Cass. n. 37974/2021)
Va, per vero, innanzitutto ribadito che il reato in esame (Molestia o disturbo alle persone) mira a prevenire il turbamento della tranquillità pubblica attuato mediante l’offesa alla quiete privata e non alla libertà di comunicazione del destinatario dell’atto molesto o di disturbo; va, poi, osservato che il criterio utilizzato per escludere il carattere invasivo della messaggistica istantanea non è dirimente, in quanto con le stesse modalità è possibile evitare la ricezione anche degli sms (sgraditi), come pure escludere la chiamata telefonica proveniente da un’utenza (sgradita) sia dall’apparato mobile sia da quello fisso, sfruttando la funzionalità di blocco presente sulla maggior parte dei cordless e in generale sugli apparecchi dotati di display e menu delle impostazioni.
Ed allora, si può concludere che ciò che rileva è l’invasività in sé del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, non la possibilità per quest’ultimo di interrompere l’azione perturbatrice, già subita e avvertita come tale, ovvero di prevenirne la reiterazione, escludendo il contatto o l’utenza sgradita senza nocumento della propria libertà di comunicazione. (cit. Cass. n. 37974/2021)