La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente il contratto preliminare di vendita di un immobile subordinato alla condizione della concessione del mutuo occorrente per saldare il prezzo pattuito tra le parti.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che “Nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito – patto di cui non è contestabile la validità, poiché i negozi ai quali non è consentito apporre condizioni sono indicati tassativamente dalla legge -, la relativa condizione è qualificabile come mista, dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la relativa pratica”; inoltre ” la mancata concessione del mutuo comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 C.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento della condizione, sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista” (Cass. Sez. 2, Sentenza n.10074 del 1996; Cass. Sez. 3, Sentenza n.23824 del 2004).
Ne deriva che non si può configurare una nullità del contratto preliminare di vendita, posto che la clausola che subordina il trasferimento della proprietà all’ottenimento, da parte del promissario acquirente, di un mutuo non integra gli estremi della condizione meramente potestativa.
Peraltro, occorre ribadire che l’accertamento inteso a stabilire se un contratto sia sottoposto a condizione sospensiva ed a determinare l’effettiva portata della condizione stessa, nonché il suo avveramento, costituisce indagine devoluta al giudice del merito.
Inoltre per quanto concerne la natura della condizione apposta al preliminare, la ritenuta nullità di esso e, più in generale, la valutazione delle condotte delle parti, ai fini di individuare la rispettiva buona e mala fede, la giurisprudenza di legittimità afferma che “il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all’art. 1358 C.c. che impone alle parti l’obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione, e la sussistenza di tale obbligo va riconosciuta anche per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo della condizione mista” (Cass. Sez. U, Sentenza n.18450/2005).
Più specificamente, “in tema di contratto condizionato, l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico. La sussistenza di un siffatto obbligo deve affermarsi anche per il segmento non casuale della condizione mista. Ciò in quanto, gli obblighi di correttezza e buona fede, che hanno la funzione di salvaguardare l’interesse della controparte alla prestazione dovuta e all’utilità che la stessa assicura, impongono una serie di comportamenti di contenuto atipico, che assumono la consistenza di standard integrativi di tali principi generali, e sono individuabili mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge” (Cass.Sez.1, Sentenza n.14198/2004; Cass. Sez. 2, Sentenza n.23014/2012).
Ciò posto, spetta comunque alla parte interessata la dimostrazione del fatto che l’altro paciscente abbia tenuto un comportamento idoneo ad impedire l’avveramento della condizione, e si sia in tal modo reso inadempiente agli obblighi generali di buona fede e correttezza richiamati dalla giurisprudenza di legittimità. In proposito, si è affermato che la fictio di avveramento della condizione prevista dall’ art.1359 C.c. si possa applicare anche alla condizione di natura mista, fermo restando che “incombe sul creditore, che lamenti tale mancato avveramento, l’onere di provarne l’imputabilità al debitore a titolo di dolo o di colpa” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5492/2010).
Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. 2 Num. 22046 Anno 2018