Rapporti tra i nonni e i nipoti
Con specifico riferimento alla posizione dei nonni, la Corte Europea ha affermato che l’art. 8 CEDU ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri.
La norma non si limita, peraltro, a imporre allo Stato di astenersi da ingerenze, giacché a questo impegno negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o familiare.
Questi obblighi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita familiare nelle relazioni degli individui tra loro, tra cui la predisposizione di un “arsenale giuridico” adeguato e sufficiente per garantire i diritti legittimi degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie o delle misure specifiche appropriate.
Un simile “arsenale” deve permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire il genitore e il figlio, anche in caso di conflitto che oppone i due genitori, e lo stesso vale quando si tratta delle relazioni tra il minore e i nonni, dovendo lo Stato attivarsi per favorire la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate, tenendo conto – in particolare – degli interessi superiori del minore e dei diritti conferiti allo stesso dall’art. 8 della Convenzione (cfr. Corte EDU, 20/1/2015, Manuello e Nevi c. Italia; Corte EDU, 7/12/2017, Beccarini e Ridolfi c. Italia).
In ogni caso le questioni concernenti le modalità con cui riconoscere il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni devono essere risolte alla luce del primario interesse del minore, secondo un principio di carattere generale che è riconducibile agli artt. 2, 30 e 31 Cost., come la Corte Costituzionale ha più volte chiarito (si veda in questo senso, da ultimo e per tutte, la sentenza n. 79/2022), e che viene proclamato anche da molteplici fonti internazionali, indirettamente o direttamente vincolanti il nostro ordinamento (la Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176; la Dichiarazione sui principi sociali e legali riguardo alla protezione e sicurezza sociale dei bambini, approvata a New York il 3 dicembre 1986; il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881; la Convenzione di Strasburgo in materia di adozione, elaborata dal Consiglio d’Europa, entrata in vigore il 26 aprile 1968 e ratificata dall’Italia con la legge 22 maggio 1974, n. 357), nonché da fonti europee (l’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, CDFUE, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; gli artt. 8 e 14 CEDU).
L’interesse superiore del minore, perciò, deve costituire la considerazione determinante e, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori o degli altri familiari (cfr. Corte EDU, 9/2/2017, Solarino c. Italia).
È fuor di dubbio che ciascun minore ha un rilevante interesse a fruire di un legame, relazionale ed affettivo, con la linea
articolata delle generazioni che, per il tramite dei propri genitori, costituiscono la sua scaturigine.
Queste relazioni, d’ordinario, funzionano secondo linee armoniche e spontanee, perciò fruttuose per tutti gli attori in campo.
Ciò però non può far escludere che, in casi particolari, esse generino situazioni limite che esigono l’intervento giudiziale, quando non sia sufficiente il buon senso a far superare le frizioni fra gli adulti, allo scopo di assicurare il beneficio di una frequentazione fra ascendenti e nipoti di carattere biunivoco e capace di reciproco arricchimento spirituale ed affettivo.
L’intervento del giudice in questo ambito deve tenere conto del fatto che l’art. 317-bis cod. civ., nel riconoscere agli ascendenti un vero e proprio diritto a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, non attribuisce allo stesso un carattere incondizionato, ma ne subordina l’esercizio e la tutela, a fronte di contestazioni o comportamenti ostativi di uno o entrambi i genitori, a una valutazione del giudice avente di mira I’ “esclusivo interesse del minore“, ovverosia la realizzazione di un progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore, nell’ambito del quale possa trovare spazio anche un’attiva partecipazione degli ascendenti, quale espressione del loro coinvolgimento nella sfera relazionale ed affettiva del nipote (Cass. 15238/2018).
In altri termini, non è il minore a dovere offrirsi per soddisfare il tornaconto dei suoi ascendenti a frequentarlo, ove non ne derivi un “reale pregiudizio“, ma è l’ascendente – il diritto del quale ex art. 317-bis cod. civ. vale nei confronti dei terzi, ma non dei nipoti, il cui interesse è destinato a prevalere – a dovere prestarsi a cooperare nella realizzazione del progetto educativo e formativo del minore, se e nella misura in cui questo suo coinvolgimento possa non solo arricchire il suo patrimonio morale e spirituale, ma anche contribuire all’interesse del discendente.
Se si considera che tanto l’assunzione di responsabilità da parte dei genitori, prevista dall’art. 316 cod. civ., quanto il diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significati con i discendenti, riconosciuto dall’art. 317-bis cod. civ., costituiscono situazioni giuridiche “serventi” focalizzate sul primario interesse del minore, sulla sua protezione e sull’esigenza che egli cresca con il sostegno di un adeguato ambiente familiare, capace anche di assicurare il vantaggio derivante da una relazione positiva con le relazioni precedenti, ben si comprende, allora, come in caso di conflittualità fra genitori e ascendenti non si tratti di assicurare tutela a potestà contrapposte individuando quale delle due debba prevalere sull’altra, ma di bilanciare, se e fin dove è possibile, le divergenti posizioni nella maniera più consona al primario interesse del minore, il cui sviluppo è normalmente assicurato dal sostegno e dalla cooperazione dell’intera comunità parentale.
Il compito del giudice, dunque, non è quello di individuare quale dei parenti debba imporsi sull’altro nella situazione di conflitto, ma di stabilire, rivolgendo la propria attenzione al superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici (o addirittura conflittuali) fra gli adulti facenti parte della comunità parentale si possano comporre e come ciò debba avvenire.
In una prospettiva avente di mira, costantemente, il superiore interesse del minore occorrerà, allora, verificare – in caso di non armonici rapporti fra genitori e ascendenti – se si possa in qualche modo attuare una cooperazione fra gli adulti partecipanti alla comunità parentale nella realizzazione del progetto educativo e formativo del bambino, determinare le concrete modalità di questa necessaria collaborazione, tenendo conto dei differenti ruoli educativi, e stabilire, di conseguenza, – per ciascuno dei minori coinvolti, anche procedendo al loro ascolto nei termini previsti dall’art. 315-bis, comma 3, cod. civ., e rispetto a ognuno degli ascendenti aventi interesse a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni – i sistemi più proficui di frequentazione e le più opportune modalità di organizzazione degli incontri.
A questo proposito occorre sottolineare come il carattere “significativo” del rapporto a cui fa riferimento l’art. 317-bis cod. civ. non possa che derivare da una relazione positiva, gratificante e soddisfacente del bambino con l’ascendente ed implichi, di conseguenza, una spontaneità di relazione e non una coercizione.
Il mantenimento di rapporti significativi, perciò, non può essere assicurato tramite la costrizione del bambino, attraverso
un’imposizione manu militari di una relazione sgradita e non voluta, cosicché nessuna frequentazione può essere disposta a dispetto della volontà manifestata da un minore che abbia compiuto i dodici anni o che comunque risulti capace di discernimento, ex art. 336-bis cod. civ..
In questi casi I’ “arsenale” da predisporre, secondo la giurisprudenza europea, per la tutela del diritto degli ascendenti consiste nell’individuazione di strumenti “soft” di modulazione delle relazioni che sappiano creare spontaneità (e dunque significatività) di relazione con i minori piuttosto che imporre rapporti non desiderati.
Nel caso di specie l’accertamento compiuto dalla Corte di merito si limita a rilevare l’assenza di un pregiudizio per i minori derivante dal “passare del tempo con i nonni e lo zio paterni”, ma trascura totalmente di indagare, nel senso appena illustrato, quale fosse il superiore interesse, specifico e concreto, di ciascuno dei bambini nella situazione di conflittualità venutasi a creare fra genitori e la famiglia paterna, al fine poi di stabilire se le divergenti posizioni potessero essere oggetto di un proficuo bilanciamento in funzione di tale interesse e quali fossero i provvedimenti all’uopo più idonei.
Rispetto a questa prospettiva di indagine il provvedimento impugnato si limita a registrare, in astratto, che l’opposizione dei genitori costringeva i nipoti “a vivere privati di affetti che [potevano] arricchirli“, ma non spiega quale fosse, nella realtà della situazione familiare posta all’attenzione della Corte di merito, il preciso tornaconto dei minori a veder partecipare ciascuno degli ascendenti nel progetto educativo e formativo che li riguardava.
Occorreva, inoltre, verificare la capacità di discernimento dei bambini coinvolti, al fine di disporne l’ascolto in presenza delle condizioni previste dall’art. 336-bis cod. civ., e, comunque, tenere conto della riottosità di a a questo coinvolgimento onde evitare l’imposizione di rapporti non voluti, valutando invece la possibilità di individuare strumenti capaci di creare la necessaria spontaneità.
Corte di Cassazione, ordinanza n. 2881/2023