Revisione dell’assegno divorzile
Va premesso che la revisione dell’assegno divorzile è possibile solo a fronte di un sopravvenuto mutamento delle «condizioni economico-patrimoniali dell’uno e/o dell’altro coniuge».
“In tema di revisione dell’assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto e rappresenta il presupposto necessario che deve essere accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei vigenti principi giurisprudenziali. Ne consegue che consentire l’accesso al rimedio della revisione attribuendo alla formula dei “giustificati motivi” un significato che includa la sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere un interesse ad agire per conseguire la modifica dell’assegno, ricomprendendo tra essi anche una diversa interpretazione delle norme applicabili avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, è opzione esegetica non percorribile poiché non considera che la funzione della giurisprudenza è ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della “regula iuris”, non già creativa della stessa. (Fattispecie relativa a una domanda di revisione dell’assegno divorzile determinato prima di Cass., Sez. 1, n. 11504 del 2017 e Sez. U, n. 18287 del 2018)”. (Cass. 1119 del 2020).
Ebbene la suddetta decisione riguarda una fattispecie in cui i Giudici di merito avevano espressamente affermato che le circostanze di fatto allegate “non erano sopravvenute”, e come tali non potevano essere prese in considerazione ai fini dell’invocata revisione, alla luce della “consolidata giurisprudenza di questa Corte” per cui, “in sede di revisione, il Giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile” (Cass. 787 del 2017 e 11177 del 2019); è dunque questo il presupposto fondamentale su cui si basa la negazione che “il mutamento di natura e funzione dell’assegno divorzile, affermato da questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica, costituisca ex se giustificato motivo valutabile ai sensi dell’art. 9 legge divorzio”.
La questione, diversa da quella affrontata in Cass. 1119 del 2020, è quindi se, una volta appurata la sopravvenienza di circostanze “potenzialmente idonee, con riferimento alla fattispecie concreta, a modificare i termini della situazione di fatto e quindi ad alterare l’equilibrio economico esistente tra gli ex coniugi, come accertato al momento della pronuncia di divorzio, e pertanto a giustificare l’introduzione del giudizio di revisione dell’assegno”, è quella se la valutazione della domanda di revisione debba essere condotta alla stregua dei criteri giurisprudenziali vigenti all’epoca del divorzio, ovvero alla stregua del “diritto vivente” al momento della decisione sulla domanda di revisione.
La Suprema Corte ritiene che sia corretta la seconda soluzione.
“La revisione dell’assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9 postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti”, dovendo in quel caso il giudice “verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e adeguare l’importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata” (Cass. 11177 del 2019, 787 del 2017; conf. Cass. 14143 del 2014, 8754 del 2011, 18 del 2011, 10133 del 2007, 9056 del 1999, 8654 del 1998).
Sempre con riguardo al nuovo diritto vivente in materia di assegno divorzile, sottolineano gli Ermellini, Cass. 1119 del 2020 precisa che gli orientamenti del Giudice della nomofilachia non sono assimilabili allo ius superveniens e non soggiacciono al principio di irretroattività, ma hanno carattere retroattivo, “in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali”, cessando di esserlo solo quando “si verta in materia di mutamento della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo” (cd. Prospective overruling: v. Cass. Sez. U, 4135/2019) “e non anche, come nella specie, su disposizioni di natura sostanziale”.
Viene, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:
“In tema di revisione dell’assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, una volta accertata, in fatto, la sopravvenienza di circostanze potenzialmente idonee, con riferimento alla fattispecie concreta, ad alterare l’assetto economico stabilito tra gli ex coniugi al momento della pronuncia sulle condizioni del divorzio, quale presupposto necessario per l’instaurazione del giudizio di revisione dell’assegno, il giudice deve procedere alla valutazione, in diritto, dei “giustificati motivi” che ne consentono la revisione sulla base del “diritto vivente”, tenendo conto della interpretazione giurisprudenziale delle norme applicabili corrente al momento della decisione”.
Corte di Cassazione civile ordinanza n.1983 del 2022
Corte di Cassazione, sez. I, 19 gennaio 2023, n. 1645