Il delitto di rapina impropria: i due commi dell’art. 628 C.p.
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene(3), è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500.
Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità.
In base alla descrizione che ne dà il primo comma dell’art. 628 cod. pen., la rapina cosiddetta propria è integrata dalla condotta di chi, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene.
Il secondo comma del medesimo art. 628 cod. pen. assoggetta alla stessa pena della rapina propria «chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità», in tal modo configurando le due ipotesi di rapina impropria, l’una a dolo di possesso e l’altra a dolo di impunità.
Per costante orientamento della Corte Costituzionale, la definizione delle fattispecie astratte di reato e la determinazione del relativo trattamento sanzionatorio sono riservate alla discrezionalità del legislatore, le cui scelte sono sindacabili soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio (ex plurimis, sentenze n. 95 del 2022, n. 62 del 2021, n. 136 del 2020 e n. 68 del 2012; ordinanze n. 207 del 2019 e n. 247 del 2013).
Con la sentenza n. 190 del 2020, questa Corte Cost. ha dichiarato non fondata, tra le altre, una questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., in riferimento all’art. 3 Cost.
Deve invero ribadirsi quanto osservato allora, cioè che il tratto qualificante del delitto di rapina è l’impiego di «una condotta violenta o minacciosa nel medesimo contesto – di tempo e di luogo – di una aggressione patrimoniale», giacché «la combinazione di tali elementi comporta non irragionevolmente un trattamento sanzionatorio diverso rispetto a quello che sarebbe applicabile in base al cumulo delle figure componenti».
Oltre che nella rapina propria, questa connotazione ricorre anche nella rapina impropria, e in entrambe le ipotesi di quest’ultima, a prescindere dalla circostanza che l’agente si sia determinato a usare la violenza o la minaccia al fine di consolidare la relazione materiale con la cosa sottratta oppure allo scopo di guadagnare la fuga, ovvero per ambedue le finalità insieme.
Come nel confronto con la rapina propria, oggetto della ricordata sentenza n. 190 del 2020, anche nella comparazione tra le due ipotesi di rapina impropria è decisivo il requisito dell’immediatezza, che il secondo comma dell’art. 628 cod. pen. postula nella sequenza tra aggressione al patrimonio e aggressione alla persona.
Invero, la contestualità delle offese a due beni giuridici così qualificati, che fa apparire non irragionevole la scelta del legislatore di unificarne la punizione sotto specie di un reato complesso, si verifica nella rapina impropria a dolo di impunità, non meno che in quella a dolo di possesso.
L’estremo dell’immediatezza differenzia la struttura della rapina impropria a dolo di impunità da quella del reato teleologicamente aggravato di cui all’art. 61, primo comma, numero 2), cod. pen.
Per quest’ultimo – a parte la dibattuta questione della possibilità del concorso o della necessità dell’assorbimento rispetto alla stessa rapina impropria – non è richiesta una specifica relazione di contestualità in rapporto al reato del quale si vuole procurare l’impunità.
Altresì incongruo è il raffronto con la violenza o minaccia a pubblico ufficiale, che l’art. 336 cod. pen. configura invero come reato complesso di pericolo (non essendone elemento costitutivo il compimento dell’atto d’ufficio), mentre la rapina, anche nelle due forme improprie, è un reato complesso di danno (lesivo cioè sia del patrimonio che della persona).
Oltre che sul piano della struttura e dell’offensività, le due ipotesi di rapina impropria non differiscono tra loro neppure sul piano soggettivo dell’intensità del dolo, poiché anche quello di impunità può non essere un dolo d’impeto, e avere invece carattere programmatico, come nella rapina propria e nella rapina impropria a dolo di possesso.
Infatti, «è perfettamente concepibile che il ricorso alla violenza come mezzo per conseguire l’impunità o assicurare il possesso della cosa sia realmente programmato, a titolo eventuale o perfino come passaggio ineliminabile per il perfezionamento del reato patrimoniale (si pensi alla sicura necessità di superare controlli in uscita dal luogo della sottrazione)» (ancora sentenza n. 190 del 2020).
Come osservato dalle sezioni unite penali della Corte di cassazione, nella pronuncia che ha dichiarato configurabile il tentativo di rapina impropria, la violenza e la minaccia non vengono considerate dall’art. 628, secondo comma, cod. pen. come entità giuridiche avulse, bensì con riferimento alla pregressa attività criminosa, per la quale il reo intende assicurarsi l’impunità (sentenza 12 settembre 2012, n. 34952).
E ancora, per costante giurisprudenza di legittimità, commette rapina impropria chi adopera violenza o minaccia, immediatamente dopo la sottrazione della cosa, per evitare tutte le conseguenze penali e processuali del reato commesso, quali il riconoscimento, la denuncia o l’arresto (ex plurimis, Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza 1° febbraio 2012, n. 4271; Sez. VII, ordinanza 3 luglio 2018, n. 29752).
Occorre considerare infatti che, per la rapina impropria, anche solo tentata, l’art. 380, comma 2, lettera f), del codice di procedura penale prevede l’arresto obbligatorio in flagranza e che, di conseguenza, trattandosi di un delitto perseguibile d’ufficio, vi è anche la facoltà di arresto da parte dei privati, a norma dell’art. 383, comma 1, dello stesso codice.
Proprio in base a questo rilievo, la Corte di cassazione ha avuto occasione di statuire che chi usa violenza o minaccia in danno del personale di un supermercato per procurarsi l’impunità immediatamente dopo la sottrazione di merce non può invocare la legittima difesa se trattenuto dal personale stesso nel tempo strettamente necessario alla consegna agli organi di polizia giudiziaria (sezione seconda penale, sentenza 3 dicembre 2014, n. 50662).
Ove pure si aderisse alla prospettiva del rimettente, “sciogliendo” il reato complesso e isolandone la componente patrimoniale, l’autore sarebbe comunque soggetto ad arresto facoltativo in flagranza per il delitto di furto, a norma dell’art. 381, comma 2, lettera g), cod. proc. pen., sicché, anche da questo punto di vista, la violenza o minaccia che egli si determinasse a usare per guadagnare la fuga sarebbero un mezzo per sottrarsi allo svolgimento dei doverosi accertamenti e all’esercizio dei legittimi poteri della polizia giudiziaria.
Corte Costituzionale sentenza n. 260 del 20 dicembre 2022