Orario di lavoro
L’articolo 2 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, intitolato «Definizioni», così recita: «Ai sensi della presente direttiva si intende per: 1. “orario di lavoro”: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali; 2. “periodo di riposo”: qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro; (…)».
L’art. 1, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 66 del 2003 definisce l’orario di lavoro come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni“.
La circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 3.3.2005 n. 8 ha sottolineato, anche richiamando giurisprudenza comunitaria (in specie, CGUE 9.9.2003, C-151/02), come la definizione di orario di lavoro adottata nel 2003 abbia portata certamente più ampia di quella enunciata nel r.d.l. n. 1956 del 1923 perché vi comprende non solo il lavoro “effettivo” ma anche i periodi in cui lavoratori “sono obbligati ad essere fisicamente presenti sul luogo indicato dal datore di lavoro e a tenervisi a disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la loro opera in caso di necessità”.
Secondo la giurisprudenza comunitaria, con particolare riferimento ai tempi di spostamento dei lavoratori, l’art. 2, punto 1, della direttiva 2003/88/Ce deve essere interpretato nel senso che, ove i lavoratori non abbiano un luogo di lavoro fisso o abituale, costituisce “orario di lavoro“, ai sensi di tale disposizione, il tempo di spostamento che tali lavoratori impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi in cui si trovano il primo e l’ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro (CGUE 10.9.2015, C-266/14 che ha sottolineato come i lavoratori della causa comunitaria, a differenza degli odierni ricorrenti ricevevano specifiche disposizioni concernenti l’esecuzione della prestazione lavorativa sin dalla partenza dal loro domicilio). Del pari, CGUE 9.3.2021, C 344/19 ha sottolineato che per ritenere il lavoratore soggetto al potere direttivo del datore di lavoro durante il periodo di reperibilità e ritenere, dunque, compromessa la facoltà del lavoratore di gestire liberamente il proprio tempo, deve emergere – da una valutazione globale dell’insieme delle circostanze – un’apprezzabile, significativa conformazione datoriale del tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti.
Per quanto riguarda la qualificazione dei periodi di guardia, la CGUE ha, altresì, dichiarato che rientra nella nozione di «orario di lavoro», ai sensi della direttiva 2003/88, l’integralità dei periodi di guardia, ivi compresi quelli in regime di reperibilità, nel corso dei quali i vincoli imposti al lavoratore sono tali da incidere oggettivamente e in maniera molto significativa sulla facoltà, per quest’ultimo, di gestire liberamente, durante i suddetti periodi, il tempo in cui la sua attività professionale non è richiesta e di dedicare tale tempo ai propri interessi, mentre quando i vincoli imposti al lavoratore nel corso di un periodo di guardia determinato non raggiungono un tale grado di intensità e gli consentono di gestire il proprio tempo e di dedicarsi ai propri interessi senza grossi vincoli, soltanto il tempo connesso alla prestazione di lavoro che, eventualmente, sia effettivamente realizzata durante un periodo del genere costituisce «orario di lavoro» (sentenze 9.3.2021, C-580/19; 11.11.2021, C-214/20); la CGUE ha avuto, inoltre, occasione di precisare che
il tempo durante il quale un lavoratore segue una formazione professionale impostagli dal suo datore di lavoro, dopo la conclusione del normale orario di lavoro, presso i locali del prestatore dei servizi di formazione e durante il quale egli non esercita le sue funzioni abituali, costituisce «orario di lavoro» ai sensi dell’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE (sentenza 28.10.2021, C-909/19) e che la pausa concessa a un lavoratore durante il suo orario di lavoro giornaliero, durante la quale egli, se necessario, deve essere pronto a partire per un intervento entro due minuti, costituisce “orario di lavoro“, ai sensi di tale disposizione, quando da una valutazione globale di tutte le circostanze pertinenti risulta che i vincoli imposti a detto lavoratore durante la pausa di cui trattasi sono di natura tale da pregiudicare in modo oggettivo e assai significativo la facoltà, per quest’ultimo, di gestire liberamente il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti e di dedicare tale tempo ai propri interessi (sentenza 9.9.2021, C-107/19).
In particolare, la Corte di giustizia europea ha sottolineato che profilo determinante per considerare sussistenti gli elementi caratteristici della nozione di «orario di lavoro», ai sensi della direttiva 2003/88, è il fatto che il lavoratore sia costretto ad essere fisicamente presente sul luogo designato dal datore di lavoro e a rimanere ivi a disposizione di quest’ultimo al fine di poter fornire direttamente i propri servizi in caso di necessità. E in siffatto contesto, il luogo di lavoro deve essere inteso come qualsiasi luogo in cui il lavoratore è chiamato a svolgere un’attività su ordine del suo datore di lavoro, anche quando tale luogo non sia il posto in cui egli esercita abitualmente la propria attività professionale (sentenze 9.3.2021, C-344/19; 28.10.2021, C-909/19).
Va aggiunto che l’art. 15 della Direttiva 2003/88/CE non consente agli Stati membri di adottare o mantenere una definizione della nozione di «orario di lavoro» meno restrittiva di quella contenuta all’art. 2 (CGUE 21.2.2018, C-518/15).
Nella medesima prospettiva esegetica, la Corte di legittimità ha precisato che la nozione di orario di lavoro, come desumibile dal testo dell’art. 1, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 66 del 2003, si compone di 3 requisiti essenziali, dati dalla presenza del lavoratore sul luogo di lavoro, dall’essere a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio di attività o funzioni; il criterio di misurazione dell’orario di lavoro risulta, dunque, composito, assumendo espresso e alternativo rilievo non solo il tempo della “prestazione effettiva“, ma anche quello della “disponibilità del lavoratore” e quello della sua “presenza sui luoghi di lavoro” (Cass n. 20694 del 2015).
Dai principi di diritto innanzi riassunti, sanciti a livello europeo e nazionale, emerge che l’attività del lavoratore è riconducibile nella nozione di orario di lavoro ove si tratti di prestazione effettiva ovvero di attività che sia sottoposta al potere conformativo del datore di lavoro ovvero che si svolga nell’ambito del luogo di lavoro. Il luogo di lavoro deve essere inteso come qualsiasi luogo in cui il lavoratore è chiamato a svolgere un’attività su ordine del suo datore di lavoro, anche quando tale luogo non sia il posto in cui egli esercita abitualmente la propria attività professionale, purché sia incisa in senso apprezzabile la facoltà di gestire liberamente il proprio tempo.
Ebbene, il tempo impiegato giornalmente per raggiungere la sede di lavoro non può, in via generale, considerarsi esplicazione dell’attività lavorativa vera e propria, non facendo parte del lavoro effettivo (e, pertanto, fatte salve diverse previsioni contrattuali, non si somma al normale orario di lavoro: Cass. n. 5701 del 2004); tuttavia, esso rientra nell’attività lavorativa vera e propria allorché sia lo strumento necessario per l’esecuzione della prestazione (Cass. n. 37286 del 2021, con riguardo a tecnici “on field“, ossia sul campo, che effettuavano interventi di manutenzione, installazione e riparazione guasti agli impianti direttamente presso le abitazioni/locali industriali e commerciali, senza far riferimento ad alcuna sede aziendale) ovvero si tratti di tempo del quale i lavoratori non possono liberamente disporre ovvero caratterizza intrinsecamente la qualità dell’attività svolta in assenza di un luogo di lavoro fisso o abituale.
Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. L n. 15332 del 2024