Sanzioni sostitutive di pene detentive brevi
Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (Legge 689/1981) sono pene (semidetenzione, libertà controllata, pena pecuniaria), che possono essere comminate al reo in sostituzione di una pena detentiva inferiore ai due anni.
Con l’art. 1, comma 17 della Legge 27 settembre 2021 n. 134, entrata in vigore il 19 ottobre 2021, e con il D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. Riforma Cartabia), attuativo dei principi in essa enunciati, il legislatore ha ridisegnato anche il quadro generale delle cd. sanzioni sostitutive di pene detentive brevi introdotto e disciplinato sino ad oggi dalla L. n. 689/81.
In primo luogo, è stato ampliato significativamente il novero delle possibilità di sospensione dell’ordine di esecuzione, ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., atteso che l’art. 545- bis cod. proc. pen. consente l’applicazione di una pena sostitutiva in tutti i casi in cui sia stata comminata la detenzione fino a quattro anni (in luogo degli originari due anni). La modifica ha, inoltre, inciso sui rapporti esistenti tra la fase di cognizione e quella esecutiva, anticipando alla fase “di merito” la scelta relativa alle modalità di esecuzione della pena.
La relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022 (in Supplemento straordinario n. 5 alla Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 245 del 19/10/2022, p. 351 ss.), in relazione alla sanzioni sostitutive introdotte dal predetto testo di legge, chiarisce che «Tale tipologia di sanzioni si inquadra come è noto tra gli istituti – il più antico dei quali è rappresentato dalla sospensione condizionale della pena – che sono espressivi della c. d. lotta alla pena detentiva breve; cioè del generale sfavore dell’ordinamento verso l’esecuzione di pene detentive di breve durata.” La valorizzazione delle pene sostitutive all’interno del sistema sanzionatorio penale, operata della legge delega, ha reso opportuna l’introduzione nel codice penale di una disposizione di raccordo con l’articolata disciplina delle pene stesse, che continua a essere prevista nella legge 689 del 1981, anche se, per ragioni di economia e di tecnica legislativa, oltre che di rispetto della legge delega, la disciplina delle pene sostitutive non è stata inserita nel codice penale, dove nondimeno, si è ritenuto opportuno, per ragioni sistematiche, operare alla stessa disciplina un rinvio nella parte generale, trattandosi di pene applicabili alla generalità dei reati. Per tale ragione, si è introdotto un nuovo art. 20 -bis cod. pen. (“Pene sostitutive delle pene detentive brevi”) – inserito nel Titolo II (Delle pene), Capo I (Delle specie di pene, in generale), dopo la disciplina generale delle pene principali e delle pene accessorie. Scopo della nuova disposizione è di includere espressamente le pene sostitutive nel sistema delle pene, delineato dalla parte generale del codice, richiamando la disciplina della legge n. 689 del 1981.
A differenza delle persistenti misure alternative alla detenzione, regolamentate tuttora dalla legge sull’ordinamento penitenziario (art.47 e ss. della legge n, 354/1975 e successive modifiche), le pene sostitutive diventano applicabili direttamente dal giudice della cognizione in sede di pronuncia della sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (nonché in fase di decreto penale di condanna). Ne emerge che il ruolo del giudice della cognizione non è più circoscritto alla quantificazione della pena, bensì esteso alle modalità con cui quest’ultima dovrà essere eseguita, con la finalità evidente di ridurre la mole di lavoro della magistratura di sorveglianza nonché di deflazionare l’appello, mentre assume un ruolo centrale l’U.E.P.E., a cui il giudice, al fine di decidere sulla sostituzione della pena detentiva e sulla pena sostitutiva in concreto – nonché di determinare gli obblighi e le prescrizioni – può richiedere tutte le informazioni necessarie circa le condizioni dell’imputato, nonché di predisporre il programma di trattamento; d’altro canto, il difensore potrà trasmettere all’U.E.P.E. tutta la documentazione che ritenga necessaria ai fini della sostituzione.
L’intervento attuativo (con l’art. 31 D. Lgs. n. 150 del 2022) del criterio di delega di cui all’art. 1, co. 17, lett. c) I. n. 134/2021, di riforma della disciplina del potere discrezionale del giudice nella sostituzione della pena detentiva e nella scelta della pena sostitutiva da applicare, trova il suo corrispondente processuale nel nuovo art. 545-bis cod. proc. pen., norma di nuovo conio, che introduce, tra gli atti successivi alla deliberazione del giudizio di merito, e, precisamente, dopo la lettura del dispositivo (art. 545 cod. proc. pen.), una nuova fase: è previsto, infatti, che, quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il Giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’art. 53 della legge 24 novembre 1981 n. 689, ne dà avviso alle parti, acquisendo il consenso dell’imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale.
Come chiarisce la relazione illustrativa, solo a partire dalla lettura del dispositivo, “sia il giudice sia le parti sono in grado di effettuare una prima valutazione circa la possibile applicazione delle pene sostitutive“, di cui all’art. 53 della legge n. 689/1981 (e nei limiti edittali ivi stabiliti). In quel momento, infatti, sono cristallizzati tutti i fattori della decisione: è nota la misura della pena principale inflitta (la cui entità determina l’applicabilità o meno delle pene sostitutive); è noto se la pena principale sia stata o meno sospesa (posto che le pene sostitutive si applicano solo in caso di mancata sospensione condizionale della pena); è nota la qualificazione giuridica ritenuta in sentenza ed è noto se – in caso di reati previsti dalla c.d. prima fascia dell’art. 4-bis, della legge 354 del 1975 – siano state o meno riconosciute determinate attenuanti (in presenza delle quali possono essere disposte pene sostitutive di pene detentive brevi).
Ancora, la relazione illustrativa precisa che nel “caso in cui non vi siano preclusioni circa la possibilità astratta di disporre la sostituzione delle pene detentive brevi, al fine di dare evidenza alla possibilità di sostituzione della pena, il giudice, subito dopo la lettura del dispositivo, è gravato dell’onere di dare avviso alle parti” e a “questo punto, l’imputato personalmente o a mezzo di procuratore speciale, può acconsentire alla sostituzione della pena detentiva con una pena sostitutiva diversa dalla pena pecuniaria”, fermo restando che l’assenso all’applicazione di pene sostitutive diverse da quella pecuniaria deve consistere in un “atto personalissimo dell’imputato, da manifestare in modo esplicito (non essendo sufficiente un consenso o una “non opposizione” desunta dalla mera inerzia dell’imputato o del suo difensore,), in ragione della rilevanza delle conseguenze che gravano sul condannato“.
L’avvio dell’ulteriore fase del procedimento, nella quale si decide sulla sostituzione e sulla scelta della pena sostitutiva, è, dunque, subordinata a una manifestazione di volontà dell’imputato. Una volta acquisito il consenso, e sentito il Pubblico Ministero, si aprono, per il giudice, due possibili strade:
– egli può decidere immediatamente, se ne sussistono i presupposti, sentito il Pubblico Ministero, con decisione che potrà anche essere di rigetto dell’eventuale istanza dell’imputato, come, nel caso di pericolosità conclamata di quest’ultimo;
– se, invece, non è possibile decidere immediatamente, il giudice fissa una apposita udienza, non oltre sessanta giorni, dandone avviso alle parti e all’ufficio di esecuzione penale esterna competente (U.E.P.E.), acquisendo informazioni, se del caso, anche dalla polizia giudiziaria.
Si apre, in tal modo, una fase interlocutoria, durante la quale il Giudice procederà alla verifica della possibilità concreta di sostituire la pena e di consentire alla parte stessa e all’U.E.P.E. di intervenire e definire i contorni e i contenuti della pena sostitutiva da sottoporre al giudice (art. 545, co. 1, terzo periodo, cod. proc. pen.). Le parti hanno un ruolo attivo in tale fase, con facoltà di depositare documentazione all’U.E.P.E. e, fino a cinque giorni prima dell’udienza, possono depositare memorie. La norma è espressione della valorizzazione dell’apporto delle parti – ed in modo particolare, dei difensori – che vengono chiamate a contribuire alla più adeguata risposta sanzionatoria al reato, in rapporto alle esigenze di individualizzazione del trattamento che discendono dall’art. 27, co. 3 Cost.
Esaurita la fase “informativa“, all’udienza fissata per l’eventuale sostituzione della pena principale, il giudice assume le proprie determinazioni definitive sul trattamento sanzionatorio, integrando o confermando il dispositivo già letto all’udienza conclusiva del giudizio ordinario: «se sostituisce la pena detentiva, integra il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti»; in tal caso si applicheranno gli articoli 57 e 61 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Se, invece, le informazioni raccolte non consentono di disporre la sostituzione della pena principale con una pena sostitutiva, il giudice «conferma il dispositivo», pubblicando la decisione mediante lettura del dispositivo (art. 545-bis, co. 3).
Dunque, al termine dell’udienza ‘dedicata’, il giudice dovrà nuovamente dare lettura in udienza del dispositivo, sia esso stato modificato o solo confermato: “Del dispositivo integrato o confermato è data lettura in udienza ai sensi e per gli effetti dell’art. 545” ( art. 545-bis co. 3, ultimo periodo). Solo con questa seconda lettura del dispositivo – ferma la statuizione di condanna – la sentenza si intenderà pubblicata, nel senso che in “entrambi i casi, il giudice pubblica la decisione mediante lettura del dispositivo come integrato o confermato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 545 c.p.p. (nuovo art. 545-bis, co. 3, c.p.p.)” (così: la relazione illustrativa), volendosi in tal modo “rendere chiaro, ad ogni effetto ma soprattutto ai fini del decorso dei termini per l’impugnazione, che il giudice deve dare nuova lettura del secondo dispositivo e che il dies a quo è quello della lettura di quest’ultimo, qualunque contenuto esso abbia“.
E, infatti, il quarto comma dell’art. 545-bis cod. proc. pen., prevede che “i termini per il deposito della motivazione decorrono, ad ogni effetto di legge, dalla lettura del dispositivo, confermato o integrato, di cui al comma 3” (art. 545 -bis co. 3 ultimo periodo), essendosi anche prevista una norma di raccordo con la disciplina della motivazione contestuale, la cui pubblicazione deve essere differita alla lettura del secondo dispositivo: è stabilito, infatti, che “quando il processo è sospeso ai sensi del primo comma, la lettura della motivazione redatta a norma dell’art. 544 co. 1 segue quella del dispositivo integrato o confermato e può essere sostituita da una esposizione riassuntiva” (art. 545 bis co. 4 prima parte). Quindi, la motivazione della sentenza, – anche per la parte relativa alla statuizione di condanna, che non è coinvolta dal successivo procedimento, con cui si riapre la possibilità per il giudice di intervenire esclusivamente sul trattamento sanzionatorio – anche laddove contestuale, non viene letta all’udienza nella quale è data lettura per la prima volta del dispositivo con cui si afferma la penale responsabilità dell’imputato, ma solo dopo la lettura del dispositivo integrato o confermato quanto al trattamento sanzionatorio. Nei casi diversi da quello della motivazione contestuale, i termini per il deposito della motivazione decorrono, ad ogni effetto di legge, dalla lettura d dispositivo, confermato o integrato, di cui al comma 3, momento in cui si intende avvenuta la pubblicazione della sentenza.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 5 n. 43960 del 2023