Città in campagna
Papà beve al tavolo avvolto da pergole verdi
e il ragazzo s’annoia seduto. Il cavallo s’annoia
posseduto da mosche: il ragazzo vorrebbe acchiapparne,
ma Papà l’ha sott’occhio. Le pergole dànno nel vuoto
sulla valle. Il ragazzo non guarda piú al fondo,
perché ha voglia di fare un gran salto. Alza gli occhi:
non c’è piú belle nuvole: gli ammassi splendenti
si son chiusi a nascondere il fresco del cielo.
Si lamenta, Papà, che ci sia da patire piú caldo
nella gita per vendere l’uva, che a mietere il grano.
Chi ha mai visto in settembre quel sole rovente
e doversi fermare al ritorno, dall’oste,
altrimenti gli crepa il cavallo. Ma l’uva è venduta;
qualcun altro ci pensa, di qui alla vendemmia:
se anche grandina, il prezzo è già fatto. Il ragazzo s’annoia
il suo sorso Papà gliel’ha già fatto bere.
Non c’è piú che guardare quel bianco maligno,
sotto il nero dell’afa, e sperare nell’acqua.
Le vie fresche di mezza mattina eran piene di portici
e di gente. Gridavano in piazza. Girava il gelato
bianco e rosa: pareva le nuvole sode nel cielo.
Se faceva sto caldo in città, si fermavano a pranzo
nell’albergo. La polvere e il caldo non sporcano i muri
in città: lungo i viali le case son bianche.
Il ragazzo alza gli occhi alle nuvole orribili.
In città stanno al fresco a far niente, ma comprano l’uva,
la lavorano in grandi cantine e diventano ricchi.
Se restavano ancora, vedevano in mezzo alle piante,
nella sera, ogni viale una fila di luci.
Tra le pergole nasce un gran vento. Il cavallo si scuote
e Papà guarda in aria. Laggiú nella valle
c’è la casa nel prato e la vigna matura.
Tutt’a un tratto fa freddo e le foglie si staccano
e la polvere vola. Papà beve sempre.
Il ragazzo alza gli occhi alle nuvole orribili.
Sulla valle c’è ancora una chiazza di sole.
Se si fermano qui, mangeranno dall’oste.
(Città in campagna poesia di Cesare Pavese tratta dalla sezione “Città in campagna“, in Lavorare stanca, anno 1936).
“ Lavorare Stanca ” è una raccolta di poesie di Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 Settembre 1908 – Torino, 27 Agosto 1950) pubblicate nel 1936 a Firenze, che quasi ponendosi in profonda contraddizione con lo stile ermetico e complesso proprio di quel periodo, si caratterizza come poesia – racconto.
La raccolta poetica si suddivide in sei sezione: “Antenati“ (I mari del Sud; Antenati; Paesaggio I; Gente spaesata; Il dio caprone; Paesaggio II; Il figlio della vedova; Luna d’agosto; Gente che c’è stata; Paesaggio III; La notte), “Dopo“ (Incontro; Mania di solitudine; Rivelazione; Mattino; Estate; Notturno; Agonia; Paesaggio VII; Donne appassionate; Terre bruciate; Tolleranza; La puttana contadina; Pensieri di Deola; Due sigarette; Dopo) , “Città in campagna“, (Il tempo passa; Gente che non capisce; Casa in costruzione; Città in campagna; Atavismo; Avventure; Civiltà antica; Ulisse; Disciplina; Paesaggio V; Indisciplina; Ritratto d’autore; Grappa a settembre; Balletto; Paternità; Atlantic Oil; Crepuscolo di sabbiatori; Il carrettiere; Lavorare stanca) “Maternità“ (Una stagione; Piaceri notturni; La cena triste; Paesaggio IV; Un ricordo; La voce; Maternità; La moglie del barcaiolo; La vecchia ubriaca; Paesaggio VIII), “Legna verde” (Esterno; Fumatori di carta; Una generazione; Rivolta; Legna verde; Poggio Reale; Parole del politico) e “Paternità“ (Mediterranea; Paesaggio VI; Mito; Il paradiso sui tetti; Semplicità; L’istinto; Paternità; Lo steddazzu); Appendice (Il mestiere di poeta; A proposito di certe poesie non ancora scritte).